Saffo fuori dal mito, dentro un saggio che è anche biografia
Ci sono personaggi - e personagge – che hanno attraversato secoli di storia e alimentato miti, ma nonostante questo, di loro si sa poco o nulla. È il caso della poetessa greca Saffo e Silvia Romani, docente di Religioni del mondo classico e Mitologia classica alla Statale di Milano, ha deciso di aiutarci a conoscerla meglio, potremmo dire “sotto un’altra luce”.
Qual è l’aspetto più “femminista”
di questo saggio? Rigetta il mito e la leggenda, scegliendo di omaggiare
la Saffo poetessa, senza alimentare altro chiacchiericcio su
di lei. Saffo non fu solo “la ragazza di Lesbo”, ma la musa di poeti che l’hanno
ritratta, di scultori che l’hanno scolpita nella pietra o sul marmo, di poeti
che l’hanno raccontata nei loro versi e ne hanno ricalcato la poesia. Silvia
Romani mette in luce tutto questo, studia la poesia di Saffo e i riferimenti ad
essa in altre forme d’arte, lasciando a margine i miti. Attenzione, a margine…
Biografia, viaggio fuori dal mito, esempio di intertestualità
Il primo
capitolo è dedicato proprio al mito, in una sorta di “scambio reciproco”
tra Saffo e l’epica e, più in generale, tra Saffo e altre voci di artisti e
poeti. Romani analizza il legame tra la figura di Saffo e la mitologia
di cui sono costellati i poemi omerici e come la poetessa la racconta nei suoi
versi; viceversa, guarda anche come i poemi epici raccontano l’isola e
la poetessa di Lesbo.
Un esempio?
Saffo nei suoi versi racconta il personaggio di Elena, con un’empatia tutta
femminile, che non fa di lei una “distruttrice di eserciti” che ha provocato la
guerra, ma è una viaggiatrice, privata dei ricordi di ciò che è stata, sola in
mezzo al mare.
Chi ha raccontato
Saffo, invece? Le voci sono state tante, ma, secondo Silvia Romani, quella di
Baudelaire ha modellato il punto di vista di tanti autori nel tempo. La sua
Saffo è «un
capitano coraggioso, partito per un viaggio che non conosce ritorno alla
scoperta della distesa salata, per sondarne il respiro e la natura».
L’avreste mai detto?
Il secondo capitolo è un intreccio di linguaggi artistici, il cui fil rouge è proprio la figura di Saffo. Parte dalla scultura di Auguste Rodin, che si lega a una poesia del 1909, che si riallaccia a un cratere di coccio di un vaso esposto a Monaco. Attraverso un magistrale e inaspettato percorso nell’arte, Saffo si lega all’Ofelia di Millais e altrettanto inaspettatamente a Leopardi. Come? Grazie alla ricerca e allo studio dell’autrice e alla sua maestria di collegare ogni piccolo tassello del puzzle.
Il terzo capitolo sfiora il rapporto di Saffo con la sessualità e indaga il rapporto di Saffo con i gruppi di ragazze sull’isola di Lesbo, andando però oltre i ritratti che mettono al centro la presunta omosessualità, ma mostrando come abbia insegnato a generazioni di giovani scrittrici il coraggio di far sentire la propria voce.
Al centro del quarto capitolo Romani si focalizza sui modi in cui è stata presentata e raccontata da scrittori e artisti l’omosessualità di Saffo, ora inserendola e ora isolandola dal contesto dell’Isola di Lesbo, lasciando e riprendendo il mito. Forse sono le 20 pagine più affascinanti del saggio, in cui la bravura di Romani permette a chi legge di immergersi completamente nella leggenda, pur restando con i piedi ben ancorati a terra. Possibile? Sì, solo leggendo si può percepire davvero questa magia.
E il quinto capitolo? Tra poco ci arriviamo…
Davanti a un bivio... o forse no
Cominciando a leggere Saffo, la ragazza di Lesbo si incontrano due strade principali: quella biografica, che scandisce le fasi della vita della poetessa e quella con un taglio più saggistico, che è letteralmente un’esplosione di riferimenti intertestuali e intreccia realtà e mito. La più facile? Non ve lo dico, perché non c’è una scelta giusta o sbagliata, la potrete scegliere andando avanti nella lettura.
Il quinto capitolo, dicevamo, non è solo quello che fisicamente chiude il libro, ma rappresenta anche la chiusura del percorso biografico di Saffo, perché ne racconta la morte… o meglio, riflette sui modi in cui è stata narrata, dipinta, rappresentata attraverso l’una o l’altra forma d’arte. Non c’è un modo più o meno giusto di rappresentare la fine di una vita. Forse, l’unica cosa abbastanza sicura, è che di Saffo si parlerà ancora, perché ancora oggi sopravvive, grazie al mito o a causa del mito, come scrive Romani «oltre il firmamento».
Federica Carla Crovella
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