Uno sguardo alle interazioni sul web nella Giornata Internazionale della Donna
Nella giornata di oggi testate giornalistiche, blog, attivisti e attiviste hanno dato voce sul web e sui social network a diritti, disparità di genere, manifestazioni e iniziative locali e nazionali dedicate alla ricorrenza.
Molti
social network si sono popolati di commenti sessisti e offensivi, probabilmente
per mettere a tacere le voci che hanno preso posizione a favore delle donne,
forse in modo più coeso e compatto di quanto avvenga in altri giorni. Gli insulti e le offese sono arrivati soprattutto
dal genere maschile, anche se si è accodato qualche utente femminile, svuotando
di significato e valore la ricorrenza dell’otto marzo e la lotta femminista.
Questo tipo di “risposte” è comparsa a prescindere dal tipo di contenuto
proposto: cronaca, cultura, approfondimenti tematici non hanno fatto grande
differenza, la parola d’ordine è stata dare addosso alle donne solo per il
fatto di essere tali e, di rimando, a chi le ha sostenute.
Tuttavia,
la manifestazione di commenti sessisti e offensivi non si è manifestata indistintamente
su tutto il web. Ad essere più colpiti sono stati i post pubblicati da testate
giornalistiche più generaliste, accanto ad alcuni profili di attivisti e
attiviste, che però sono stati affiancati e affiancate da una fitta rete di
persone che condividono saldamente valori e ideali femministi. Il giornalismo locale
non è rimasto del tutto indenne da commenti sgradevoli, anche se, a prima
vista, le manifestazioni d’odio sono sembrate meno forti, così come per le testate
di settore e blog che si occupano principalmente di diritti, diversità e
inclusione.
Perché
queste differenze? In alcuni casi la “cascata” di offese potrebbe essere stata
limitata dalla possibilità di moderare i commenti e oscurare interventi poco
appropriati, ma alcune testimonianze dicono anche che, forse, i leoni da
tastiera si sono tenuti consapevolmente lontani da quelle pagine web in cui sapevano
di essere soli e non trovare “terreno fertile” per i loro attacchi privi di qualsiasi
volontà di confronto. Al contrario, rifugiarsi laddove pensano e sanno di poter
trovare qualche consenso in più da parte del genere maschile è più semplice: «oggi
stranamente non ci sono arrivati commenti sessisti e aggressivi, non abbiamo
avuto la necessità di moderare nulla», ha confermato ad esempio Freeda Media.
Sotto
articoli di cronaca che raccontavano manifestazioni e scioperi sono comparsi
commenti rivolti alle donne come: “queste sarebbero da spedire da Hamas, loro
sì che sanno trattare le donne”, “poi si fidanzano con l'immigrato con
precedenti. Eh ma la colpa è di tutto il genere maschile”, “ai cani le cagne”,
“solite zecche criminali”.
Alcune
attiviste che fanno divulgazione sui social hanno ricevuto commenti come: “Ca**o
te hai dei problemi seri…qui ci vuole uno specialista”, “ma seria, pensi di far
ridere?”, ma i commenti provenienti dalla loro rete di supporto ampia e solida hanno
superato ampiamente quelli dei detrattori.
Anche
tra un social e l’altro c’è stata qualche differenza. Linkedin, fortunatamente,
sembra l’unico uscito indenne dalla foga di aggredire i post sull’otto marzo. Se
Facebook è stato uno spazio in cui poter “vomitare” ogni tipo di offesa, su
Instagram sono emerse più voci fuori dal coro sessista, che hanno cercato di contrastare
l’ondata di odio sul web, provando ad intavolare confronti che mettessero a
tacere il mero insulto. Ci sono state prese di posizione nette a favore della lotta
per i diritti, soprattutto da parte di donne, probabilmente perché il social è
più frequentato di quanto non lo sia Facebook dalle giovani generazioni, più
sensibili a questi temi, e c’è stato anche qualche confronto un po’ più
costruttivo. Non sono mancati, però, commenti sterili e vuoti provenienti da profili
fake, che mettono al centro immagini di corpi femminili creati per il solo
scopo di offendere e mercificare la donna, diffondere foto approdate sul web
senza consenso e “sporcare” quei contenuti che invece vogliono creare valore.
Federica Crovella
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