ddl del Governo contro la violenza sulle donne: dove ci porterà? Il parere legale
Il Governo Meloni ha introdotto di recente una stretta sulla violenza contro le donne, che prevede sa un lato il rafforzamento di misure cautelari e dall’altro alcuni provvedimenti finalizzati a snellire i tempi e rendere la giustizia più veloce.
Passo in rassegna le
principali misure contenute del disegno di legge del Governo insieme all’Avvocata Claudia Paolini, civilista di Torino,
esperta in diritto di famiglia.
Tra le iniziative che
vorrebbero rafforzare le misure cautelari c’è l’incremento
dell’uso automatico del braccialetto elettronico, anche ai
domiciliari, e carcere in caso di
manomissione, e ammonimento sui reati spia, come ad esempio lo
stalking, con estensione della sua applicazione a più reati, tra cui tentato
omicidio, revenge porn, aggressione con l’acido.
Che cosa pensa
di questi provvedimenti: quali sono i punti di forza e i limiti, a suo
avviso?
Le iniziative hanno l’intento di bloccare o perlomeno diminuire il dilagare della violenza sulle donne, problema abbiamo compreso, specie negli ultimi anni, essere trasversale, cui si assiste in qualunque ambiente sociale, culturale ed economico. Esse prevedono l’intensificazione dell’uso del braccialetto elettronico automatica per chi si trova agli arresti domiciliari con il consenso dell’indagato o indipendentemente da quest’ultimo se il giudice lo considera comunque necessario - oggi l’applicazione della misura e a discrezione del magistrato previo consenso dell’indagato - una distanza minima di 500 m in caso di divieto di avvicinamento alla vittima, 30 giorni di tempo sia per richiesta di misura cautelare da parte del pubblico ministero sia per la loro applicazione da parte del GIP, magistrati formati ad hoc in tema violenza e processi più veloci, pene aumentate per chi è già stato ammonito, arresto in flagranza differita per stalking, maltrattamenti in famiglia e violazione del divieto di avvicinamento.
I pro sono certamente tempi rapidi e specializzazione dei magistrati nella materia che, osservo, dovrebbe anche venire garantita come nota da enti cui la donna vittima di violenza si dovrà rapportare come servizi sociali e servizio di psicologia dell’ adulto, per la genitorialita’ e dell’infanzia.
I contro sono
portati dalla mancata prevenzione di simili reati nella nostra cultura, sin
dall’interno delle scuole.
La violenza sulle donne è una
nostra piaga sociale che può essere sconfitta modificando l’educazione dei
nostri ragazzi in modo che non diventino maltrattanti e sappiamo riconoscere,
dagli albori, segnali di violenza e se ne allontanino. Investire in questo
senso, così come dovrebbe avvenire per altri grandi ma differenti questioni, come ad esempio l’ambiente, il green ed il risparmio energetico, sarebbe nei
prossimi anni la vera chiave di volta per un efficace cambiamento.
Secondo la sua esperienza, un incremento di provvedimenti di questo genere quanto è realmente efficace e concretamente applicabile?
Sicuramente è importante
incrementare le misure e le norme affinché i maltrattanti possano venire tenuti
“maggiormente a bada” e non chiamino ad esempio la vittima per il famoso “ultimo
appuntamento di chiarimento” che spesso si trasforma nell’occasione di
“scarico” da parte del maltrattante di tutta l’aggressività accumulata sulla vittima, anche con tragiche conseguenze.
Trovo però, mi ricollego a quanto
risposto prima, che sia fondamentale insegnare a tutti, in particolare alle nuove generazioni, a
riconoscere le tre fasi del circolo della violenza (accumulo della aggressività
e della rabbia/situazione di stallo - scarico della tensione con
estrinsecazione della violenza - scuse, promesse e luna di miele e così via) in
modo da non applicarlo e, comunque, saperlo sempre riconoscere.
Tra gli interventi del disegno
di legge ci sono anche alcuni provvedimenti che vogliono intervenire
sui tempi e snellire la burocrazia. Ad
esempio, l’arresto in flagranza differita, vale a dire entro le
quarantotto ore, nel caso in cui da documentazione video o foto emerga
inequivocabilmente il fatto e con la priorità nella trattazione dei
processi, che dà trenta giorni di tempo, sia per le richieste di misure
cautelari dei pm sia per la loro applicazione da parte dei Gip. Si sta
valutando anche di predisporre un pool di magistrati dedicato alla
materia.
Cosa pensa di provvedimenti come arresto in flagranza
differita e priorità nella trattazione dei processi? Anche in questo
caso, quali sono i potenziali punti di forza e limiti? Il reale margine di
applicabilità?
Il disegno di legge regola l’arresto in flagranza differita ossia
l’arresto “non sul fatto” del soggetto ma che, sulla base di documentazione
fotografica, video o di altra natura (ad es. messaggistica) viene o può venir
considerato inequivocabilmente autore di un reato sempre che l’arresto sia
compiuto non oltre il tempo necessario all’identificazione del soggetto e
comunque entro le quarantott’ore dal fatto.
Credo che la misura, anche in considerazione del dinamismo attuale
portato dalla nostra costante connessione ad internet nonché alla comunicazione
che compiamo quotidianamente per il tramite del nostro smartphone, sia
indubbiamente da cogliere favorevolmente.
Le tempistiche che il legislatore intende porre sono certo
strettissime ma utili per la repressione dei comportamenti violenti e, dunque,
alla tutela delle vittime che sarebbe quindi giusto definire, ove le misure
avessero successo, solo potenziali.
Sul piano legale i provvedimenti messi in
campo dal Governo a suo avviso sono sufficienti o manca qualcosa per
un intervento efficace a 360 gradi?
Al momento, per comprendere se una misura è realmente
efficace dobbiamo non soltanto valutarla in astratto ma nelle sue
applicazioni quotidiane. Ribadisco che per una tutela a 360° occorre
intervenire nella formazione e nella sensibilizzazione, partendo non
solo dalla maggior divulgazione del problema ma anche rivolgendo tutta la
nostra attenzione all’educazione dei giovani ed all’aggiornamento di
chi lavora nei settori collegati alla violenza.
Ad esempio, non sempre i servizi sociali sono sufficientemente
preparati alle complesse problematiche psicologiche che la vittima
di violenze e i suoi figli si portano dentro e che, inevitabilmente,
incidono sia sulla relazione fra i famigliari-vittime sia sulla
genitorialità.
Nell’ambito di questa serie di provvedimenti, il
Ministro Nordio ha ipotizzato:
“Non sarebbe male se portassimo nei carceri
anche le vittime di reati, a portare testimonianze, in modo da far capire ai
detenuti la gravità fisica, morale e psicologica di questi comportamenti
odiosi”. perché, ha concluso Roccella, dobbiamo lavorare su “una consapevolezza
crescente che dobbiamo assolutamente alimentare”.
Personalmente
non so quanto sarebbe davvero efficace portare nelle carceri le donne che hanno
subito violenza; c'è anche il rischio che possa solo rivelarsi un trauma ulteriore per loro, senza garantire un impatto costruttivo
sui maltrattanti.
Avvocata Paolini, che cosa pensa di questa
ipotesi?
Cercare di rendere più consapevoli della gravità delle
loro azioni i colpevoli della violenza, dai maltrattanti ai Sex
offenders, potrebbe essere una misura utile.
L’intervento in questione è solo “in un anello della catena della
violenza” diverso rispetto a quelli cui facevamo cenno prima ma che va spezzato
esattamente come gli altri.
Nell’ipotesi in argomento, la tutela interverrebbe successivamente,
nella fase di emenda ossia quella della rieducazione del soggetto che la violenza
l’ha già perpetrata e da cui il sistema si aspetta zero recidiva una
volta scontata la pena.
Si spera che ogni colpevole di violenza possa realmente cambiare
il proprio agire violento diventando un uomo diverso e se ciò può essere fatto
anche dopo aver sentito il racconto di educatori, di vittime o di attrici che
interpretano i racconti delle vittime, ben venga.
Naturalmente, la vittima narrante non deve essere nuovamente sottoposta a violenza, nè tantomeno a
“vittimizzazione secondaria”.
Anche in questa fase l’educazione, o meglio la rieducazione,
giocherebbero un ruolo fondamentale: se il violento provasse reale empatia per la
vittima manifesterebbe un vero cambiamento, con la probabilità di non commettere più
i grandi errori del passato reintegrandosi in società.
Grazie all'Avvocata Claudia Paolini per il suo intervento accurato e professionale. Insieme avevamo già parlato di vittimizzazione secondaria in tribunale.
Federica Carla Crovella
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