Per una traduzione inclusiva: intervista ad Alice Orrù

macchina da scrivere e testo che parla di traduzione inclusiva
foto da pixabay

Il 30 settembre di ogni anno si celebra la Giornata Internazionale della Traduzione. Allora, oggi, ne approfittiamo per parlare del legame che c'è tra la traduzione e l'inclusività. Lo facciamo insieme ad Alice Orrùcopywriter freelance, che lavora con il linguaggio inclusivo, l’accessibilità digitale e le lingue straniere.

Che cosa significa tradurre in modo inclusivo e quali benefici potrebbe portare alla professione?

Per me significa tenere in considerazione tutte le intersezioni di privilegio e oppressione che ci caratterizzano in quanto persone e poi trovare il modo migliore per incanalarle nei contenuti che traduciamo.

In linea generale, adottare una comunicazione inclusiva significa scegliere parole, toni, espressioni che non sono lesivi della dignità e dell’identità delle persone: si tratta di una scrittura che rifiuta il sessismo, il classismo, il razzismo, l’abilismo (cioè la discriminazione nei confronti delle persone con disabilità) o l’ageismo (la discriminazione generazionale).

Nell’ambito della traduzione, poiché potremmo non avere controllo sul testo originale, significa anche provare a portare questa consapevolezza a chi ci commissiona il lavoro. 

In questo modo possiamo contribuire a costruire un mondo più rappresentativo e accessibile per tutte le persone.

espressione di saluto in diverse lingue


Quali sono le principali difficoltà che incontra chi cerca di farlo da altre lingue all’italiano?

La principale difficoltà in italiano sta nel fatto che, trattandosi di una lingua romanza, dobbiamo fare i conti con il binarismo del genere grammaticale. Non abbiamo altre soluzioni grammaticali oltre alle desinenze maschili e femminili, visto che il neutro in italiano non esiste. Questo ci complica la vita quando vogliamo adottare una scrittura inclusiva di genere. 

Pensiamo per esempio alle traduzioni dall’inglese.L’inglese è una lingua per lo più gender-neutral. Ha pochissimi marcatori di genere (come i pronomi e i possessivi); la maggior parte dei sostantivi non ha forme grammaticali di genere e solo alcuni sostantivi sono divisi in maschili e femminili (actor/actress, waiter/waitress). Tutte le espressioni che in inglese possono essere percepite come neutre, non marcate, in italiano devono essere declinate per genere. Tra gli esempi forse più recenti, c’è il caso dei pronomi personali soggetto. Da qualche anno, in inglese è sempre più comune usare, anche per la terza persona singolare, il pronome they come alternativa al maschile he o al femminile she. È una forma inclusiva che si usa quando non si conosce il genere della persona di cui si parla; ma è anche il pronome scelto da molte persone con identità di genere non binaria. 

In italiano il pronome inclusivo ancora non esiste. Erroneamente viene a volte tradotto come loro, ma questa trasposizione letterale non rende giustizia al significato inclusivo del pronome usato al singolare. Per il momento in italiano non abbiamo ancora un’opzione valida e riconosciuta: ci sono persone non binarie che usano per parlare di sé il pronome ləi, con lo schwa. Ma non si tratta di una soluzione diffusa e ancora non mi è capitato di incontrarla in testi tradotti.

Un’altra difficoltà può essere quella di tradurre un testo da una lingua che ha maturato più consapevolezza sui temi della scrittura inclusiva di genere. Penso per esempio allo spagnolo, dove inizia a essere comune, anche in certi contesti formali, l’uso della desinenza inclusiva -e al posto di -o (maschile) e -a (femminile): amigue è la forma inclusiva della parola amigo. Qualcosa di simile esiste anche in portoghese. Ed è proprio da un testo scritto in portoghese inclusivo, Feminismo em comum: para todas, todes e todos dell’autrice brasiliana Márcia Tiburi, che in italiano abbiamo avuto una delle prime traduzioni in cui compare lo schwa: Il contrario della solitudine – Manifesto per un femminismo in comune, edito da Effequ nel 2020. Lo schwa, in quel caso, è stata la soluzione creativa trovata dalla casa editrice per poter tradurre al meglio un testo nato in linguaggio inclusivo.

Potresti dare delle indicazioni di massima, dei consigli pratici, per una buona traduzione attenta all’inclusività, in particolare parlando di attenzione al genere?

Il primo consiglio che mi sento di dare è quello di affidarsi al dizionario ed esplorare le possibilità della nostra lingua con creatività. Non sempre è necessario declinare le parole per genere. Ci sono situazioni in cui possiamo servirci di parafrasi, dei pronomi relativi, di parole neutre come i sostantivi collettivi (famiglia, classe, personale, ecc.) o come la parola neutra persona.


In italiano abbiamo poi molti sostantivi ambigenere, che rimangono invariati al maschile e al femminile: titolare, ospite, cantante, ecc. Cercare di introdurre questo tipo di sostantivi, quando possibile, può essere utile per scrivere in modo più inclusivo rispetto al genere.

E poi, non meno importante, c’è tutto l’aspetto educativo che riguarda i significati delle parole che scegliamo. Credo sia molto importante studiare il significato dei concetti che ruotano intorno al tema delle identità di genere e degli orientamenti sessuali. È importante conoscere la differenza tra sesso assegnato alla nascita e genere; tra identità di genere ed espressione di genere; tra orientamento sessuale e identità di genere. Sapersi muovere tra le parole, molte delle quali sono recenti introduzioni nel nostro lessico, permette di tradurre testi in un italiano più inclusivo nei confronti delle persone della comunità LGBQTIA+.

Avresti spunti/consigli da dare, di lettura  altro, per confrontarsi con un buon modello di traduzione inclusiva?

Il mio lavoro si concentra sulla localizzazione software e sulla traduzione tecnica. Restando nel settore IT, posso consigliare delle app che sono state localizzate con una grande attenzione alle tematiche di genere:

  • Clue, app per il monitoraggio del ciclo mestruale, che ha anche un bel sito web con una sezione dedicata alla comunità LGBTQIA+
  • Bumble, app di dating che ha un onboarding molto attento a rappresentare tutte le possibili identità di genere
  • Babbel, un’app per imparare le lingue che ha introdotto il linguaggio inclusivo di genere nelle sue lezioni


  • Federica Carla Crovella

Commenti

Post popolari in questo blog

ddl del Governo contro la violenza sulle donne: dove ci porterà? Il parere legale

La violenza ostetrica esiste: dati e indicazioni per riconoscerla

Dove non mi hai portata: un libro-inchiesta in cui una figlia "dà alla luce" la propria madre