L'ingiustizia discorsiva: da Jane Austen a un caso di cronaca del 2021


Le parole possono diventare strumenti di discriminazione, oppressione e ingiustizia. Chiunque può fare i conti con questo potere negativo delle parole,  nella quotidianità, in tanti modi e con tante sfumature. Per capire un certo fenomeno linguistico, oggi partiamo dalla letteratura e arriviamo a un caso di cronaca recente. 

Un intreccio di letteratura e linguistica

Nel capitolo 19 di Orgoglio e pregiudizio Elizabeth Bennet riceve una proposta di matrimonio da parte del sig. Collins; proposta che declina in modo elegante, dicendo prima "siete troppo frettoloso , signore"; poi, ancora "dimenticate che non ho dato nessuna risposta"; infine che per lei è «impossibile fare altro che rifiutarla [la proposta]».  Il dialogo tra i due non finisce qui. Davanti al rifiuto, l'uomo fa una scelta che, in molti casi, sbagliando, viene fatta ancora oggi: continua a insistere. Dietro questo atteggiamento non c'è solo lo stereotipo dell'uomo che deve imporsi sulla donna ed esibire la propria virilità, ma è importante anche osservare che cosa succede linguisticamente

Come spiega Claudia Banchi nel suo saggio  “Hate speech. Il lato oscuro del linguaggio”, è un fenomeno chesi chiama Ingiustizia Discorsiva, con cui l'appartenenza a un gruppo sociale discriminato - in questo caso per genere - sembra distorcere e a volte annullare la possibilità di agire in modo efficace con le proprie parole si sottintendono pregiudizi sessisti e stereotipi. 

Capiamo meglio questo fenomeno continuando nella lettura di questo episodio letterario. Andando avanti succede che l'uomo esplicita il suo pregiudizio: «“So bene, e non da ora, che tra le signorine si usa respingere la proposta di un uomo che esse intendono segretamente accettare, quando lui richiede per la prima volta i loro favori; e che talvolta il rifiuto è ripetuto una seconda e persino una terza volta. Non mi ritengo quindi minimamente scoraggiato da ciò che avete appena detto, e spero di condurvi all’altare quanto prima».

I ripetuti "no" di Elizabeth vengono letti e interpretati come modi per mostrare gentilezza d'animo e ritrosia, quasi come dei rifiuti finti, tipici degli atteggiamenti femminili dell'epoca e, di fatto, non hanno un effetto concreto sull'interlocutore uomo. Perchè? Il problema non è nel modo di comunicare di Elizabeh nè nel suo linguaggio, ma semplicemente nella sua caratteristica sociale di appartendere al genere femminile. Questo si esprime anche con il linguaggio, che "ha un ruolo cruciale nel creare e rinforzare asimmetrie e ingiustizie sociali, nel diffondere e legittimare pregiudizi e discriminazione, nel fomentare odio e violenza", spiega Bianchi. Di fatto non si riescono a fare e affermare determinate cose  esclusivamente per l'appartenenza a un gruppo sociale

Da parte del sig. Collins c'è un'interpretazione, o per meglio dire una distorsione, dell'atteggiamento di Elizabeth. Questo è il livello di ingiustizia discorsiva che Bianchi definisce distorsone illocutoria, con cui in particolari circostanze certi atti linguistici vengono distorti. In questo caso chi parla compie atti linguistici diversi rispetto quelli che aveva intenzione di compiere (quindi, per tornare a Orgoglio e Pregiudizio, Elizabeth dice un "no" che viene interpretato come "sì"). 

Il caso più estremo di ingiustizia discorsiva non distorcere le parole dell'altro/a, ma addirittura le annulla: è la riduzione al silenzio, con cui al sogetto discriminato viene preclusa la possibilità di parlare e agire.

Uno sguardo alla cronaca del 2021
Era lo scorso dicembre quando i giornali raccontavano un episodio di violenza con tanto di sentenza del tribunale. Mesi prima la moglie aveva denunciato il marito per violenza sessuale, accusandolo di averla più volte costretta ad avere rapporti sessuali e di averla anche minacciata con una lama per combattere il suo rifiuto. I giornali riportavano che un pm della Procura di Benevento ha chiesto l’archiviazione della denuncia e ha messo gli atti la considerazione che a volte l’uomo deve “vincere quel minimo di resistenza che ogni donna, nel corso di una relazione stabile e duratura, nella stanchezza delle incombenze quotidiane, tende a esercitare quando un marito tenta un approccio sessuale". Così scriveva La Nazione. 

Anche in questo caso c'è l'idea di una ritrosia tipica femminile, che quindi presuppone un"no", ma che dev'essere scavalcata e vinta trasformando il rifiuto in consenso. 
In questo caso il non riconoscimento delle ragioni dell'altra persona, quindi il "no" che viene letto come un "sì", non riguarda la proposta di matrimonio ma il rapporto sessuale. In questo caso il pregiudizio considera le donne inclini alle relazioni sessuali, ma spinte, di nuovo, dalla loro appartenenza al genere femminile - e magari anche al ruolo di moglie - a mettere in scena il rifiuto per non mostrarsi troppo intrapredenti e per non lasciare spazio al desiderio. Proprio da questo pregiudizio nascono dei "sì" che non sono veri, ma vengono estorti da chi non ne avrebbe il diritto.

Federica Carla Crovella 

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