Stereotipi e violenza di genere: la percezione delle giovani generazioni


La violenza di genere non è diffusa solo tra gli adulti e gli stereotipi sono duri a morire anche tra gli adolescenti. Lo conferma la cronaca, ma parlano chiaro anche le statistiche, punto di partenza per capire come siano percepiti stereotipi e violenza di genere dalle giovani generazioni.

I dati più recenti arrivano da una ricerca dalla Fondazione Foresta Onlus di Padova sulla percezione di violenze e stereotipi di genere da parte degli adolescenti in territorio padovano. Le persone intervistate sono state 945, di cui 578 ragazze e 367 ragazzi, con un’età media di 21 anni.

Emerge una situazione statica: gli stereotipi a cui i giovani restano legati sono ancora quelli che hanno guidato e guidano le generazioni di meno giovani. Il quadro non è rincuorante nemmeno in fatto di violenza, ma come siamo arrivati a questo? Perché?

La parola ai dati

Ecco quanto riporta la ricerca della Fondazione Foresta:

«Oggi, nel 2022, le ragazze sono 2,4 volte più attente al dibattito sulla parità di genere rispetto ai ragazzi, lo considerano “molto importante” (su una scala da 1 a 10, il 65% delle ragazze ha risposto “10”, contro appena il 27% dei ragazzi). Il dibattito sull’identità di genere è sentito molto di più (1,7 volte) dalle persone transgender e non-binary rispetto ai cisgender (su una scala da 1 a 10, il 33% di transgender e non-binary ha risposto “10”, contro il 19% dei cisgender). Questi dati trovano conferma anche rispetto al tema delle discriminazioni, dove femmine, persone transgender e persone non-etero risultano maggiormente discriminate (dal 40% al 75% si sente discriminato, contro il 5-10% di maschi, cisgender, etero)».  

Probabilmente, la differenza di sensibilità tra i generi rispetto al problema, è dovuta alla fatica dei maschi ad entrare in empatia con chi subisce violenza e immedesimarsi. Infatti, nonostante ci siano anche casi di abuso sugli uomini, il genere maschile resta ancora quello meno colpito dalla violenza e, di conseguenza, non percepisce tanto quanto le donne l’urgenza del problema. Lo stesso vale per il dibattito sull’identità di genere e le discriminazioni; temi che, tendenzialmente, toccano più da vicino le persone transgender e non-binary.

Una fase della ricerca ha coinvolto attivamente ragazze e ragazzi e il risultato è significativo:

«Ai maschi è stato chiesto di descrivere con quattro parole il genere femminile. Il 50% dei ragazzi intervistati descrive il femminile come un bilanciato insieme di “bellezza, forza, affetto e intelligenza”; ritratto che combacia con l’attuale rappresentazione del femminile proposto dalla nostra coscienza collettiva; un altro 40% rappresenta il femminile attraverso caratteristiche quali “maternità, fragilità, accudimento e sensibilità”. D’altra parte, almeno il 30% dei maschi viene rappresentato con le caratteristiche di “forza, arroganza, sessualità e potere”; la quota sale al 40% delle risposte date se aggiungiamo all’elenco le parole “fragilità e stupidità”».

La maggioranza dei ragazzi ha usato la bellezza come prima caratteristica per descrivere l’altro sesso, messo accanto alla forza e all’intelligenza. Chi ha portato avanti la ricerca dice: 

«i ragazzi danno un’immagine completa delle ragazze e ben bilanciata tra temi di bellezza, intelligenza forza intesa come dote intellettuale e accudimento». 

C’è però un buon 40% che fa pendere la bilancia verso una visione piuttosto stereotipata del femminile, perché ancora fa riferimento a parole come: maternità, fragilità, accudimento e sensibilità. Ecco che alle donne si continua a chiedere di essere accondiscendenti e disponibili verso il prossimo: allora, perché ci stupiamo ancora se tutto il lavoro di cura ricade ancora su di loro?

Allo stesso modo, resta vivo lo stereotipo del maschio dominante, esplicitato da caratteristiche come forza, arroganza, sessualità e potere; se questo è ciò che si attribuisce loro, molti si sentiranno in dovere di non disattendere le aspettative. Sotto il ritratto dell’uomo forte e aggressivo emergono la fragilità e la stupidità

«la prima è ancora percepita come una debolezza da nascondere, la seconda diventa, spesso, reazione allo stereotipo del maschio dominante», sottolinea la Fondazione Foresta.

Forse, proprio grazie alla forza e dall’ intelligenza in riferimento alle ragazze e alla fragilità attribuita ai ragazzi potrà aprirsi uno spiraglio per un cambiamento nella percezione dell’altro/a, ma sarà un processo lento e graduale.

Stereotipi, violenza e pandemia: quale legame?

Ultimamente, si parla della violenza di genere tra le giovani generazioni come di un fenomeno dilagante e c’è chi ritiene che il consolidamento degli stereotipi e l’incremento della violenza abbiano trovato nella pandemia di Covid terreno fertile per espandersi a macchia d’olio.

La situazione che si è creata negli ultimi anni non ha di certo migliorato le cose, ma è legittimo chiedersi quali siano le effettive responsabilità della pandemia e quali, invece, siano da attribuire ad altro.

 Covid e stereotipi

A questo proposito, è utile fare qualche passo indietro e capire quale fosse il pensiero degli/delle adolescenti poco prima del Covid e all’inizio della pandemia.

Viene in aiuto l’edizione 2020 della ricerca “GAP - Giovani alla Prova - Ricerca su atteggiamenti e comportamenti degli adolescenti italiani” sviluppata dall’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Consiglio Nazionale delle Ricerche.

Lo studio, condotto nel corso del 2019, ha misurato gli stereotipi di genere di cui erano portatrici le giovani generazioni italiane, coinvolgendo 3.273 studenti e studentesse delle scuole superiori.

L’indagine rivela che, ancora prima della pandemia, 4 ragazzi su 10 ritenevano che fosse l’uomo a dover mantenere la famiglia, idea condivisa anche dal 25% delle ragazze; i dati dicono anche che, già anni fa, 1 maschio su 4 aveva la convinzione che in casa il potere decisionale spettasse all’uomo. Ancora, sul tradimento 1 maschio su 5 pensava che quello femminile fosse più grave di quello maschile. Ne deduciamo che già prima della pandemia certi stereotipi erano condivisi e sostenuti dalle giovani generazioni. Quindi, nel periodo del lockdown, ragazzi e ragazze possono aver respirato in famiglia certi stereotipi legati al genere, ma, probabilmente, nulla è stato percepito come un’assoluta novità.

 Se la situazione di partenza già non era delle migliori, di certo la pandemia non ha influito positivamente.

Secondo la stessa ricerca, nel 2020 sembrava fosse in atto il superamento di uno dei più classici stereotipi; ovvero che le faccende domestiche siano una mansione prettamente femminile. Da questo punto di vista, l’arrivo del Covid ha determinato una regressione, bloccando in molti casi il processo di emancipazione che tante madri avevano intrapreso o stavano intraprendendo. Infatti, è ormai comprovato da tante ricerche che le donne hanno accusato maggiormente il colpo della crisi portata dalla pandemia, perdendo il lavoro o trovandosi costrette a conciliare, con estrema difficoltà, smart-working e lavoro di cura.

Tutto ciò trova conferma nell’ dell’Osservatorio MSA-COVID-19, che ha raccolto più di 140.000 interviste a persone tra i 18 e i 21 anni. Ha analizzato alcune affermazioni usate da ragazzi e ragazze durante il periodo di lockdown in Italia, “spie” di quanto gli stereotipi persistano.

Il 25,7% degli adolescenti nella più rigida fase di distanziamento ha ritenuto giusto che fosse prima l’uomo a doversi distrarre e dunque ad uscire per fare la spesa o per altre esigenze domestiche (di cui il 17,1% di femmine e il 37,3% di uomini). Analogamente, il 19,9% ha concordato nel fatto che sia comprensibile che l’uomo possa perdere la pazienza in una simile situazione (di cui il 14,5% femmine e il 27,2% maschi). Infine, rispetto a quella che potrebbe configurarsi come l’immagine più emblematica della stereotipia di genere, ovvero l’idea per la quale la donna è portatrice di un suo ruolo naturale che risiede nell’essere madre e moglie, è stato rilevato un accordo complessivo pari al 18,4%, di cui il 14,8% femmine e il 23,3% maschi.


Covid e violenza

Le rilevazioni Istat hanno mostrato che durante il lockdown c’è stato un aumento dei casi di violenza e di femminicidi; non a caso UN WOMEN ̶ Ente delle Nazioni Unite per l'uguaglianza di genere e l'empowerment delle donne ̶   ha parlato di emergenza-ombra legata alla pandemia, ma la domanda più delicata è “come e perché si è arrivati a questo?”.

Facciamo un passo indietro: come venivano percepite le violenze  prima del Covid?

Dalla ricerca “GAP - Giovani alla Prova - Ricerca su atteggiamenti e comportamentidegli adolescenti italiani” arriva la conferma del fatto che, anche tra le giovani generazioni, prima della pandemia la violenza era già un fenomeno radicato. 

Lo studio rivela che due anni fa, nel contesto scolastico le vittime privilegiate di varie forme di discriminazione e violenza erano già le ragazze: il 40% di loro era soggetto a emarginazione dal gruppo; il 31% subiva insulti per l’aspetto fisico; almeno 1 studentessa su 10 veniva offesa in quanto donna.

Che dire di sessismo e omofobia? Lo studio evidenzia che c’era già, in particolare da parte del genere maschile, in entrambi i casi un elevato livello di tolleranza.

Anche l’Osservatorio Indifesa di Terre des Hommes e ScuolaZoo, i cui dati risalgono al 25 novembre 2020, va in questa direzione. Il focus in questo caso è sulla percezione della disparità tra i generi in fatto di violenza.

La consapevolezza del fenomeno della violenza già c’era: l’85% dei ragazzi due anni fa riteneva che in Italia ci fosse un reale allarme di femminicidi e violenza contro le donne

Dentro questo stesso dato, però, si nascondono le differenze di genere: sono 7 su 10 i maschi che ritengono vi sia un allarme fondato; tra le ragazze, invece, il rapporto sale e a percepire la gravità del fenomeno sono 9 intervistate su 10. Solo il 15% non crede che ci sia un rischio diffuso, ma anche qui il dato scorporato per genere parla di un 29% di maschi a fronte di un 10% di femmine.

La condizione di precarietà e isolamento portata dal Covid può aver accentuato stati di malessere e frustrazione, ma perché un uomo dovrebbe arrivare ad uccidere una donna, se non per un forte e consolidato senso di superiorità e di dominio su di lei? È difficile attribuire un gesto simile unicamente alla pandemia; al contrario, è probabile che le cause più profonde siano nell’indole di chi compie il femminicidio e nella cultura fortemente patriarcale assimilata, anche tra le giovani generazioni.

Le rilevazioni della ricerca GAP - Giovani alla Prova mostrano che tra i giovani maschi, prima e dopo la pandemia, non si è fermata la tendenza a sfogare sentimenti di odio e rabbia sulle donne.

Allora, forse, il legame più stretto è quello tra gli atti di violenza e gli stereotipi che un ragazzo oggi sente di dover incarnare, non quello tra l’aggressività e il Covid. Proprio lo stereotipo del maschio forte e aggressivo, che non deve mai dare spazio alla sensibilità o alla fragilità, talvolta impedisce al ragazzo di rapportarsi in modo sano e costruttivo con l’altro sesso e, di conseguenza, porta tanti giovani uomini ad agire con violenza, perché l’aggressività diventa, anche per un’imposizione della società, parte integrante del modo di essere maschile. Se tutto questo manca, si rischia di essere tacciati di mancanza di virilità.

Di conseguenza, si ripropone una dinamica di potere che pone il genere femminile – e anche quello non binario – in posizione subalterna rispetto quello maschile e lo costringe dentro precise posizioni e ruoli all’interno della società: chi cerca di opporsi è considerato un pericolo e può subire trattamenti che vanno dall’esclusione sociale, alla violenza fisica, fino all’uccisione.

Per un cambio di passo

Tutte queste ricerche osservano atteggiamenti e pensieri delle giovani generazioni da varie angolazioni e pongono il loro focus su aspetti diversi, ma tutte concorrono a mostrare che, a prescindere dalla pandemia, da tempo persiste, non solo tra gli adulti, una visione sessista e stereotipata della società e la cultura patriarcale è ancora ben radicata. Questo, verosimilmente, avviene anche a causa di rigidi ruoli di genere interiorizzati in diversi contesti, dai rapporti amicali all’ ambiente famigliare e scolastico; quindi, serve un reale cambio di passo.

In quest’ottica, la Fondazione Foresta ha messo a punto un decalogo che aiuti le giovani generazioni a liberarsi dalla morsa degli stereotipi, che condizionano sia la percezione di sé sia quella del sesso opposto.

«L’auspicio», ha sottolineato la Fondazione «è che possa aiutare i giovani maschi ad accettare le proprie debolezze, senza necessariamente dover ricorrere alla violenza per essere accettati come uomini»



Dieci punti fondamentali, preziosi per le scuole, le istituzioni e i media, che possono aiutare le giovani generazioni a osservare con occhio più maturo e consapevole stereotipi e violenze di genere, senza però ricaderci dentro.

Federica Carla Crovella

 

 


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