Violenza economica: un abuso che dev’essere riconosciuto come tale


Secondo l’Istat, nel 2020 sono state 15.837 le donne che hanno iniziato un percorso di fuoriuscita dalla violenza. Le forme di abuso a cui sono state assoggettate, sono state di tipo psicologico (89,3%), fisico (66,9%), minacce (49,0%), violenza sessuale (21,7%, di cui stupro 9,0%). I dati, però, parlano anche di violenza economica, precisamente per il 37,8% dei casi. Spesso si tratta di una forma di abuso che viene riconosciuto con più difficoltà dalle donne stesse; dunque, nei dati talvolta può subentrare un sommerso importante, perché la maggioranza delle donne non denuncia.

La consapevolezza è il primo passo. Proprio per questo, ho intervistato chi ne sa ben più di me.

 Grazie per la preziosa collaborazione alla Professoressa Giandomenica Becchio, docente dell’Università di Torino, presso il Dipartimento di Scienze economico-sociali e matematico-statistiche.

 Spesso si pensa che economia e finanza siano ambiti prettamente maschili: come si può cambiare questa narrazione?

Questo modo di pensare è dovuto a uno stereotipo; ovvero che le donne, in ogni campo, non siano in grado di essere leader, perché molto più portate per il lavoro di cura. Tuttavia, molti studi dimostrano come il sesso biologico non determini in alcun modo le caratteristiche della personalità. Inoltre, c’è l’idea che finanza ed economia siano connesse al potere, che, proprio per effetto di questo stereotipo, è storicamente e saldamente nelle mani degli uomini.

La narrazione può cambiare con un progetto educativo di lungo termine, che preveda la decostruzione di questi stereotipi e che, viceversa, educhi bambini e bambine all’uguaglianza delle potenzialità. Fino a quando resisteranno stereotipi come questi, secondo cui le donne siano più inclini degli uomini alla cura e a dedicare il proprio tempo agli altri gratuitamente, tutti gli ambiti che hanno a che fare con il potere resteranno nelle mani degli uomini. Il secondo passo è attuare delle pratiche che focalizzino l’attenzione sulle donne e su quanto possano essere determinanti per la performance economica e finanziaria di un qualunque soggetto, che sia un’impresa o altro.



 In ambito finanziario ed economico, come cambiano i comportamenti di una donna rispetto quelli di un uomo?

Le donne hanno un atteggiamento più prudente nella gestione dei risparmi e dell’organizzazione eventuale di un’impresa. Il loro atteggiamento è tendenzialmente anche meno aggressivo degli uomini, per esempio nel chiedere i prestiti per avviare un’impresa.

Tuttavia, da parte delle banche c’è meno propensione a erogare prestiti alle donne imprenditrici. Si viene a creare, quindi, una sorta di autolimitazione da parte delle donne in ambito economico-finanziario. Questi atteggiamenti, però, non sono uguali ovunque, ma dipendono dal contesto geografico-sociale; ci sono aree geografiche e gruppi sociali in cui sono più o meno marcati.  

Proprio per questi motivi, molti anni fa è nata l’idea della microfinanza, da parte di M. Yunus, banchiere del Bangladesh e premio Nobel per la pace nel 2006, che ha avviato una serie di prestiti rivolti alle donne. I dati hanno mostrato che le donne, per il 98%, sono molto più solvibili (quindi ripagano il debito in tempo), dei colleghi imprenditori.

 Quella economica è una forma di violenza più complessa di altre da riconoscere, di cui spesso le donne stesse hanno poca percezione: perché? Come si presenta solitamente?

È una forma di violenza psicologica e si configura in atteggiamenti di controllo e monitoraggio da parte dell’uomo nei confronti della donna. Si tratta di un comportamento reiterato del soggetto dominate, che rinforza il proprio dominio sul soggetto più debole, anche attraverso meccanismi di privazione di libertà economica. Avviene limitando l’accesso della donna al denaro, perché non la si considera capace di gestirlo, oppure privandola della possibilità di trovare un lavoro o fare carriera, perché questo comporterebbe, ad esempio, minor tempo da dedicare alla casa. Tutto questo condiziona fortemente le scelte della donna ed è amplificato soprattutto quando la donna è anche madre.

Accade per una forte influenza degli stereotipi di genere e per via di una forma di autoesclusione delle donne, che decidono che il loro ruolo non è gestire i risparmi della famiglia e lavorare. Spesso, invece, le donne sono costrette a scegliere un lavoro part-time, proprio perché caricate della responsabilità del lavoro di cura. Sono forme che si perpetuano e diventano parte della dimensione famigliare.

 Come acquisire la giusta consapevolezza nelle proprie risorse, non solo economiche ma anche personali, e fronteggiare il problema nella maniera giusta qualora si presenti?

Torniamo ancora ad un discorso di educazione all’uguaglianza di genere, sia nei confronti delle ragazze sia sui ragazzi. Le ragazze devono essere pronte a considerarsi competitive sul mercato del lavoro, e prima ancora in ambito formativo, alla pari dei maschi; al contempo, bisogna educare i ragazzi al fatto che è anche compito loro svolgere il lavoro di cura.

Inoltre, è fondamentale un’operazione congiunta tra organi istituzionali e scuole e università, organizzando, come già sta avvenendo, diverse iniziative che promuovono l’accesso delle donne alla conoscenza economica e finanziaria e poi, eventualmente, a strumenti finanziari ad hoc.

L’aspetto più importante, però, è che, chiunque possa influenzare l’opinione pubblica, insista sul fatto che la violenza economica è una forma di abuso e dev’essere riconosciuta come limitazione della libertà personale. È una forma di abuso e si deve denunciare esattamente come quella fisica o psicologica.

Quali potrebbero essere, secondo lei, le prospettive future rispetto al problema? Che cosa dicono i dati sulla situazione attuale e sui possibili risvolti di domani?

Una ricerca recente riporta che il 56% degli uomini in Italia all’interno della famiglia si prende a carico la gestione dei risparmi. Molto peggio va al reddito personale: l’85% delle famiglie vede il marito con un reddito maggiore di quello della donna. Ancora, per quanto riguarda i conti correnti a singola intestazione, il 91% è intestato a uomini. Questi dati sono anche legati al fatto che spesso le donne lavorano in settori meno remunerativi e spesso accettano il part-time, sempre perché sovraccaricate dalla responsabilità del lavoro di cura.

In Occidente il trend generale sta cambiando, perché questi dati migliorano per quanto riguarda la fascia under 35. Questo avviene anche grazie alle misure che si stanno mettendo in campo da qualche anno per colmare il divario salariale di genere, grazie ad una maggior opera di sensibilizzazione sul tema e alle linee guida internazionale, ad esempio l’Agenda 2030. In altre parti del mondo la situazione è molto più drammatica e meno in fieri. 

                                                            Federica Carla Crovella


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