Quando la violenza entra in tribunale

 


Nemmeno le aule di tribunale sono esenti dalle discriminazioni di genere. Anche lì, a volte, si cade in errore e sembra di scorgere dentro le sentenze un punto di vista più vicino a quello del maltrattante che a quello della vittima. 

A che punto è, in ambito legale, la tutela delle donne? Che cosa manca per un reale cambio di passo? Che cosa vedono gli occhi di una professionista che entra in tribunale? 

Su queste zone d'ombra ha cercato di fare luce, con competenza e passione, l'Avvocata Claudia Paolini, civilista di Torino, esperta in diritto di famiglia.  



Secondo la sua esperienza, quali sono gli stereotipi di genere più ricorrenti in aula di tribunale?

Si manifestano con l’automatico svilimento della donna e la sua relegazione a compiti meno importanti di quelli ricoperti. Il ruolo effettivo di una donna può non venire immediatamente percepito.

Nella mia esperienza mi è spesso capitato, quando ero più giovane, di venire individuata da alcuni clienti, anche donne, subito come la segretaria dell’avvocato, anche quando ero in udienza ai fini della pratica forense con il mio bel fascicolo in braccio perché “l’avevo studiato”, “ero preparata”, “era mio” mentre invece è stato percepito dai clienti con “porta il fascicolo lei perché lui è il suo capo”. In altra situazione mi è capitato di sentire un Giudice chiedere, in sede di udienza, ad un avvocato uomo “Leì è l’avvocato?” per sapere il suo nome e per l’altro contendente ove il patrocinatore era una donna chiedere “Lei, signora?”. Alla Collega avrebbe dovuto venire richiesto in egual modo “Lei è l’avvocato?” o, come si dovrebbe dire “Lei è l’avvocata?”. Recentemente – era un po' che non mi capitava - un cliente si è riferito al mio Collega uomo, durante i saluti, con “Arrivederci avvocato grazie” e a me con “Signora, grazie … no mi scusi, avvocato ... poi ci sentiamo per la questione di mia figlia”. Ovviamente io sono una signora nel mio quotidiano ma nella mia professione pretendo di venir chiamata con il titolo; da signora, pretendo, comunque, di non venire sopraffatta da nessuno.

Per quanto riguarda gli stereotipi perpetrati nei confronti delle assistite nel corso delle udienze, ad esempio, proprio di recente una mia amica collega penalista mi raccontava che in aula, in un caso di lesioni perpetrate da un compagno alla sua compagna per gelosia, l’avvocato dell’uomo ha detto, in difesa del suo assistito, che la donna “se l’è cercata” perché lo ha tradito almeno quattro volte. 

Come pensa che si possano prevenire?

Ritengo sia utile educare le nuove generazioni alla parità di genere e a scontrarsi col fatto che la cultura attuale è implicitamente maschilista. Prima o poi la rottura del sistema avverrà e sarà normale ritenere effettuata la parità fra donne e uomini. Ritengo anche, prendendomi la responsabilità di ciò che dico, che molto spesso non vengano diffusi sufficienti nozioni alle masse, circostanza che andrebbe superata poiché molti italiani, ad esempio, non leggono carta stampata (né quotidiani né riviste) ma hanno accesso alle informazioni solo tramite i social network, con tutti i limiti che ciò comporta. Occorre, sintetizzo, che il processo educativo venga radicalmente modificato, in modo che non incida più sui sessi (maschile e femminile) al fine di far cessare la grande dicotomia femmina = debole e uomo = forte. La divisione porta logicamente al possesso del forte sul debole, ossia la sopraffazione anche solo verbale (“stai zitta”! stai al tuo posto!”) e genera violenza. Sarebbe realmente rispettoso dei nostri diritti umani non sessualizzare l’educazione che impartiamo alle nuove generazioni. Credo personalmente nella rivoluzione di una educazione genderless, ma mi rendo conto che nel nostro Paese sia difficile da far attecchire, però ci spero!

Lei come si spiega questo numero crescente di femminicidi, nonostante le leggi?

Il numero crescente di femminicidi è dovuto a molti fattori di cui io sono forse in grado di elencarne solo qualcuno. Si affronta un fenomeno complesso. 

Credo che il pensiero radicalizzato ed imperante nel nostro Paese che una donna sia o madre/moglie-compagna o “puttana” porti uomini a faticare a comprendere che una donna è anche ben altro e può, legittimamente, non sentirsi più realizzata – in quanto essere umano - dalla relazione amorosa con lui o dalla sola famiglia o da quant’altro. Una donna può anche non amar più lo stesso uomo e chiedere, giustamente, di voler cambiare l’assetto della sua vita: questo “cric” incide sul pensiero cattolico di cui è intessuta la nostra società poiché per noi “il matrimonio” o comunque “l’unione sentimentale” è per sempre. In America, invece, Jennifer Lopez si è sposata tranquillamente tre volte. Se non si comprende che una donna ha lo stesso diritto di un uomo di volersi autodeterminare nel modo che desidera, anche cambiando “la situazione di prima”, molti uomini estremizzeranno questo intento e non sapendolo accettare continueranno a sopraffare la donna fino a tragiche conseguenze. L’educazione alla parità di genere anche qui è fondamentale: molti uomini devono anche meglio gestire la loro rabbia.

A che punto siamo, in fatto di tutela delle donne, anche sul piano legale? Altre soluzioni che, a suo avviso, si potrebbero mettere in campo?

 Il Codice Rosso è certo un grande miglioramento nel nostro sistema, poiché cerca di mettere in protezione le vittime nel minor tempo possibile. Un miglioramento potrebbe essere potenziare le strutture di supporto e di accoglienza, oggi per lo più case famiglia, ove le vittime, non rientrando in casa dopo la denuncia, per allontanarsi proprio fisicamente dal carnefice, vengono ospitate. Molte donne non denunciano perché sanno di non avere la forza economica di pagare l’avvocato nel lato penale e nella causa civile: è recentissima la introduzione del reddito di libertà ed è già da tempo attivo in Piemonte il Fondo vittime di violenza, che paga le spese legali delle donne vittime, appunto, di violenza di genere. Poi, ribadisco ancora la necessità di educazione alla parità di genere, anche nei confronti degli adulti.

Continuiamo su questa strada, ma facciamo di più. 

 Federica Carla Crovella 

Commenti

  1. Finalmente......un articolo "vivo" con riferimento a episodi di vita vissuta.
    Non il solito pistolotto stereotipato !

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    1. Grazie! Merito dell'intervistata, che è riuscita a sensibilizzare sul problema accostando a competenza e professionalità umanità e cuore.

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    2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  2. Concordo con l'avvocata Paolini, si tratta sempre di un tentativo di sopraffazione. La cura è l'educazione fin "dalla culla". Anche nella mia esperienza se c'è un uomo, io sono la signora e lui è l'architetto. A volte però anche le donne ci danno una mano agli uomini: i complimenti sono spesso sugli abiti o la bellezza, molto poco al modo di lavorare. Ombretta

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