L’Italia dei femminicidi in periodo Covid: la parola ai dati

Scritta apparsa nel centro di Torino - Via Verdi 
Foto di Federica Carla Crovella 

Se ne parla ancora come emergenza, ma sarà corretto? La crescita esponenziale dei femminicidi avvenuta negli ultimi due anni è diventato un fenomeno sistemico. Non si può definire “circostanza imprevista, fuori dall’ordinario”; del resto, nel corso del 2021 ci sono stati periodi in cui, in Italia, una donna moriva per mano di un uomo ogni tre giorni, ma è un’emergenza se la intendiamo come piaga sociale a cui si deve fare fronte comune. Prima di mettere in campo tutte le armi possibili c’è bisogno di consapevolezza; per questo, più di ogni altra cosa servono i dati, presi direttamente dalle indagini sulla popolazione. Doveva arrivare una pandemia, con un aumento vertiginoso dei casi di violenza domestica, per osservarli con più attenzione?

Torniamo al 2020 con gli occhi di oggi

Nel 2020 l’Istat ha avviato un monitoraggio sulla base di dati inediti provenienti dalla Rilevazione sulle utenti dei Centri antiviolenza (CAV), dalle chiamate al 1522 e dai dati su denunce alle Forze di Polizia e omicidi, di fonte Ministero dell’Interno. 



Questa prima rilevazione ci dice che 15.837 donne hanno iniziato un percorso di uscita dalla violenza. L’83,3% delle violenze è stato di tipo psicologico; a seguire la violenza fisica è stata la forma di abuso più frequente (66,9%), subito dopo le minacce (49%), la violenza economica (37,8%), altra violenza sessuale (12,7%), stupro (9,0%). La maggioranza delle donne, però, ha subito al contempo più di tre forme di violenza. Seguono poi, anche se in misura minore, il matrimonio forzato o precoce, l’aborto forzato e le mutilazioni genitali femminili; fenomeni che, forse, senza dati alla mano non penseremmo nemmeno di trovare nel nostro Paese, all’alba del 2022.

La maggioranza delle donne prese in carico dai CAV nel 2020 aveva tra i 49 e i 30 anni; quindi rientrava nell’età che, presumibilmente, si presta di più a una convivenza con il partner o un matrimonio. Seguono, con molta probabilità per motivi anagrafici, le donne tra i 16 e i 29 anni e quelle tra i 50 e i 59; poi, al penultimo gradino quelle di età superiore. All’ultimo posto ci sono le ragazze con meno di 16 anni (0,4%).

Il percorso di uscita dalla violenza è iniziato nella maggioranza dei casi nel mese di gennaio, quindi, se i dati fanno riferimento all’anno 2020, ancora non eravamo in lockdown ed era possibile accedere ai centri antiviolenza. La drastica diminuzione, non a caso, è arrivata a marzo, quando il Covid ha costretto la popolazione in casa e, di conseguenza, per le donne è diventato più complesso avere contatti con l’esterno, anche a causa della vicinanza con i maltrattanti. Di contro, però, dice l’Istat, rispetto al 2019 sono triplicate le richieste d’aiuto all’1522. I dati oscillino nei mesi a seguire, soprattutto sulla base delle restrizioni imposte. In questo articolo ho fornito altri dati sulla correlazione tra pandemia e violenza domestica, ma anche una panoramica delle soluzioni messe in atto nel nostro Paese per arginare il problema.  

L’ascolto (97,1%) e l’accoglienza (82,8%) sono stati i servizi maggiormente offerti dai Centri Antiviolenza, ma, presumibilmente, sono stati interventi temporanei, che non si sa con certezza se abbiano dato il via ad un percorso più articolato, strutturato e continuativo di fuoriuscita dalla violenza. Possono sorgere dei dubbi, se si osservano altre tipologie d’intervento, che riportano percentuali più basse: ad esempio, l’orientamento e l’accompagnamento ad altri servizi della rete territoriale non hanno superato il 37,2%, l’orientamento lavorativo non è andato oltre il 12,3 % e il supporto e la consulenza alloggiativa si sono assestati sul 9,1%. Qui il quadro completo dei dati Istat. 

È prevista per la primavera del 2022 una nuova edizione dell’Indagine sulla “sicurezza delle donne”, inserita nell’Accordo con il Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio.

Quale andamento per il 2021?

Che cosa è successo nel mezzo? Nei primi nove mesi del 2021 sono calate le richieste di aiuto al “1522” per violenze in ambito familiare, anche per l’allentamento delle restrizioni negli stessi mesi dell’anno.

Sono esemplificativi i dati riportati dall’Istat: «sono diminuite le situazioni in cui la vittima si è sentita in pericolo di vita (dal 34,2% del 2020 al 28,6% del 2021), ha avuto paura di morire a causa della violenza (dal 4,5% al 2,9%) o ha temuto per l'incolumità dei propri cari (dal 4,8% all’1,4%). Al contrario sono aumentate le segnalazioni di violenze di minore gravità. Tra le conseguenze della violenza sono indicati con più frequenza, nel 2021, gli stati di ansia (dal 18,5% al 23,8%) e il sentirsi molestate ma non in pericolo (dal 6,9% al 16,8%). Con l’allentamento delle misure più restrittive per il contenimento della pandemia è visibile l’aumento delle richieste di aiuto al 1522 per violenze da parte di autori non conviventi con la vittima. Rispetto allo stesso periodo del 2020, nei primi nove mesi del 2021 risultano in aumento le violenze da ex partner (da 15,2 a 17,1%) e da figure esterne all’ambito familiare (da 7,4 a 11,3%) mentre diminuiscono le chiamate per violenze da parte dei partner con cui la vittima vive (da 58,6 a 53,4%) e restano stabili quelle da parte di genitori e altri parenti. Al contrario, nel 2020 si era registrato un aumento delle richieste di aiuto per violenze da parte di familiari e parenti rispetto all’anno precedente». Stando ai dati, sembra ci sia stata una generale inversione di tendenza rispetto al 2020, ma, in ogni caso, il bilancio tracciato dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza non è così rassicurante.


Nei primi mesi del 2021 gli omicidi sono risultati sempre in calo rispetto al pre-pandemia, ma questo non vale per i femminicidi. Infatti, facendo sempre riferimento ai dati del 26 dicembre 2021, è cresciuta l’incidenza percentuale delle donne uccise sul totale degli omicidi: sono state 116 le vittime di genere femminile nel 2021 (erano 110 nel 2019), di cui 100 hanno perso la vita in ambito familiare/affettivo (erano 93 nel 2019); di queste ultime, 68 hanno trovato la morte per mano del partner/ex partner (erano 67 nel 2019).

Questi dati ci danno delle conferme: la pandemia non ha fatto altro che acuire il fenomeno della violenza di genere; che si definisca emergenza nella emergenza, emergenza-ombra legata alla pandemia o crisi nascosta, la sostanza non cambia, perché non tutte le donne trovano nelle mura di casa un luogo sicuro; infatti, qui resta sommersa gran parte delle violenze. A dirlo è anche il trend del 2021, proprio mostrando un calo, seppur abbastanza lieve, delle violenze da parte di conviventi della vittima, di pari passo con l’allentamento delle restrizioni. I numeri, però, ci dicono che il problema è nel sistema, che non tutela ancora abbastanza le donne, né dentro né fuori casa. Nell’ultimo anno è cresciuto anche il numero dei minori sottratti: infatti, sono in corso 71 indagini sulle sottrazioni di minori, portati all’estero da uno dei due genitori (+14% rispetto al 2020). Talvolta, quando è il padre ad allontanare i/le figli/e della madre, è anche questa una forma di violenza contro le donne.

Quali sono le prospettive future? È difficile dare risposte certe. In questo articolo ho delineato la fisionomia e le novità del nuovo disegno di legge per contrastare la violenza sulle donne, approvato all’inizio di dicembre dal Consiglio dei Ministri.

Ci sarà davvero il cambio di passo di cui tanto avrebbe bisogno il nostro Paese? 

 Federica Carla Crovella

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