Anche l'incomunicabilità è violenza: ho spento il pc


Italo Calvino negli anni ’60 parlava di
antilingua; poi, dalla fine degli anni ’70 si parla di burocratese. La sostanza è la stessa: è un linguaggio spesso utilizzato da amministrazioni e istituzioni pubbliche, costituito da perifrasi tecniche e generiche, che diventa ermetico e talvolta complica il messaggio.

Purtroppo, questo uso della lingua non risparmia nemmeno il 25 novembre. Inutile fare considerazioni su quanto questo sia raccapricciante, ma, inevitabilmente, viene da chiedersi perché.

Facciamo un velocissimo passo indietro. Che cosa significa, nel concreto, usare il burocratese?

  • tecnicismi ricorrenti, spesso non spiegati
  • complessità morfo-sintattica e lessicale
  • uso di dati astratti in luogo di dati concreti
  • parafrasi ridondanti per spiegare qualcosa di relativamente semplice
  • uso impersonale del linguaggio
  • ricorso alla retorica

Ne abbiamo abbastanza? Direi di sì…

 Una battaglia persa

Questo articolo nasce da un’esperienza personale; in particolare, da un convegno che ho tentato di seguire, con scarso successo. 

Proprio alla luce del 25 novembre appena passato, il tema scelto è il femminicidio e la mascolinità tossica.  Sono temi importanti, urgenti e le aspettative  sono tante; svaniscono presto, perchè fa capolino, in tutta la sua mancanza di accessibilità, la lista di cui sopra, tutta intera, senza esclusione di colpi. Ci si ritrova nella confusione più totale, si prende comunque qualche appunto nel disperato tentativo di riuscire poi a mettere in ordine le idee, far combaciare i pezzi del puzzle e tradurre qualcosa in termini accessibili, ma niente da fare... 


Come si può contribuire attivamente ad arginare la piaga della vilenza di genere, se la comunicazione è questa? Il 
linguaggio è intriso di tecnicismi, di tipo amministrativo, politico, giuridico non spiegati, l'approccio è vago, freddo e impersonale, le frasi comprensibili, poche, comunicano le più raccapriccianti ovvietà.

«Se la ricerca di leggibilità e chiarezza dei testi amministrativi si scontra contro il passato e una lunga tradizione scrittoria sintatticamente contorta e inutilmente infarcita di tecnicismi superflui, l’introduzione del rispetto del genere nel linguaggio amministrativo guarda invece al futuro e si presenta come un’operazione coraggiosa, tesa a dare visibilità alle donne nelle nuove professioni e nei nuovi ruoli pubblici che sempre più spesso sono chiamate a ricoprire. Ma i due aspetti, quello della leggibilità e della chiarezza dei testi e quello del rispetto del genere non sono disgiunti».

Così scrive la linguista Cecilia Robustelli in un saggio del 2012. Nello stesso testo sottolinea  come il linguaggio possa incidere sulla società e, quindi, sia essenziale usarlo correttamente: nulla da eccepire, è così, ma quanto si riesce ad arrivare alle persone, se il burocratese regna sovrano? Perché non si riesce a capire che non è questa la strada? 

Si parla spesso di linguaggio inclusivo e di uso della lingua non sessista, ma anche questa incomunicabilità è violenza. Perché ostacola la comprensione da parte di chi non è del settore e ostacola una comunicazione accessibile e utile, che possa trasformarsi in azioni concrete. Al contrario, diventa una rassegna sterile e vuota, piena zeppa di nozioni tecniche, che non sempre riescono a  diventare provvedimenti e gesti di tutela per chi è vittima di soprusi. 

25 novembre e politicamente corretto

Non sarebbe meglio scegliere di non parlare di violenza sulle donne, se sembra che si stia leggendo la lista della spesa? Per di più, sbagliando anche, come se fosse la prima lettura di due appunti presi alla rinfusa! Non sarebbe meglio evitare, se improvvisamente il tema femminicidio cede il passo a procedure amministrative e giudiziarie da espletare? Al centro non ci sono più le persone: addio empatia, sensibilità, cuore. Allora, c'è da chiedersi quanto sia reale l’interesse di relatori e relatrici, che appena concludono il proprio intervento guardano il telefono. Viene da chiedersi se chi interviene tenga conto del pubblico che ascolta dall'altra parte. 

Se questo è il valore che assume il 25 novembre, forse non serve. Diventa una “tappa obbligata”, imposta dall'agenda o dal calendario. 

L’obiettivo reale, però, non è fare bella figura, ma far sì che, a tutti i livelli, si possa agire attivamente e concretamente per arginare il problema. Invece, c’è chi, anche nella comunicazione, ritiene che “mantenere il volto istituzionale” sia la priorità, mettere il politicamente corretto prima di tutto e parlare in ogni caso, anche “vomitando” un tecnicismo dopo l’altro, ogni tanto inserendo qualche dato, senza un barlume di coinvolgimento emotivo. Ah, ovviamente, senza lo scambio, perché in video-call l’audio di chi partecipa è disattivato. 

"Ah, ma non era un monologo?" ... "Eh, no!"

Per le domande? C’è la chat, attraverso cui non si riesce nemmeno a dire che di alcuni interventi si sente solo qualche parola ogni tanto. Ho spento il pc.

Federica Carla Crovella

 

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