Mammo vs Papà: tra neologismi e sessismo





Era il 2004 quando su canale 5 andava in onda una sit-com dal titolo “il Mammo”. Il protagonista è «un uomo vedovo costretto a fare, oltre che da padre, da mammo ai suoi tre figli», si legge su Wikipedia. Siamo nel 2021 e nei giorni scorsi su alcuni giornali è uscito questo titolo: “Belen mondana e bellissima, Antonino fa il mammo”. Sono passati tanti anni, ma nulla è cambiato; anzi, il termine “mammo” ha guadagnato terreno, sostituendosi spesso alla parola che esiste per designare questo ruolo. Papà, padre, babbo (tipico toscano).

La parola “mammo”, però, non esiste da sempre… e concedetemi di dire per fortuna! Ha iniziato a far parte della nostra lingua da un certo punto in poi ed è a tutti gli effetti un neologismo. Come dice il termine stesso, il neologismo è una parola nuova, che generalmente nasce dall’esigenza di esprimere concetti altrettanto nuovi, che, diversamente, sarebbero difficili da identificare e nominare. 

Che bisogno c’era di creare un neologismo, se la parola di riferimento c’era già?

Davvero, chi ha dato vita al termine “mammo” non conosceva l’esistenza della parola papà?

No, non è questa la spiegazione. Dietro questo nuovo termine - che ormai tanto nuovo non è – ci sono un significato e un’intenzione ben precisi, ma ci arriviamo.

Dizionari, definizioni e significati…

Ho fatto una piccola ricerca e sono rimasta sconcertata: ebbene sì, non credevo che questo termine fosse addirittura entrato nei dizionari, ma a quanto pare è così. Almeno per quanto riguarda i dizionari online,non quelli cartacei.












Saltano subito all’occhio due aspetti: il primo riguarda l’intenzione di
attribuire a questa figura le caratteristiche che la tradizione assegna di default alla madre; la seconda è la segnalazione della natura scherzosa del termine, come a dire:“non prendiamoci troppo sul serio!”, “facciamocela una risata”.

Sorgono spontanee due domande: perché “il mammo” dovrebbe sostituire la mamma? Che cosa mai ci sarà di buffo? 

Il termine “mammo” non è un neologismo e basta. La Treccani spiega «costituisce neologismo anche l’aggiunta di un significato nuovo a parola già esistente; si parla allora di neologismo semantico, per distinzione dagli altri, che sono detti neologismi lessicali (e talora, quando l’innovazione consiste in sintagmi più o meno complessi anziché in parole singole, nsintattici)». Ecco il nostro caso, ecco la nostra finalità (e qui concedetemi un purtroppo!): dare un significato nuovo a una parola che già esiste.

Che cosa c’è che non va nella parola papà? Assolutamente niente, ma nell’uso della parola “mammo” c’è altro. La figura maschile deve assumere le caratteristiche proprie della mamma, altrimenti sembra quasi che non sia all’altezza del ruolo. Dietro questa idea, però, vedo una leggera sfumatura sessista, ovvero: “la mamma è sempre la mamma”, “di mamma ce n’è una sola” e nessuno riuscirà mai a eguagliarla nel suo ruolo di cura. Del resto, è fatta apposta per questo, altrimenti a che cosa serve una donna, se non a fare e accudire marmocchi?

Questa parola non fa bene a nessuno

Ciliegina sulla torta: bisogna intervenire anche sulla linguistica per rimarcare ancora meglio il concetto. Che cosa avrà pensato chi ha usato “mammo” per la prima volta? Se usiamo la radice della parola mamma, allora, diamo valore anche al ruolo, anche se poi la donna di valore ne ha ben poco, tolta dalle mura domestiche. Allo stesso tempo, se il papà diventa “mammo” può essere colui che accudisce, aiuta a crescere, nutre, sostiene e farlo egregiamente, perché diventa proprio come la mamma. 

Allora, chi è il papà? Sembra sia la persona che lavora, porta a casa lo stipendio e sostiene economicamente. Sia mai, però, che il papà giochi, rida, faccia i compiti, prepari la cena, ascolti, educhi. Dall’uso di questo termine, pare che tutto questo sia concesso solo a quella figura ridicola e insolita che, pur essendo uomo, assume ruoli femminili.

Il termine sottolinea il primato materno in certi compiti e, di conseguenza, la scarsa attitudine della donna ad altri ruoli che non siano l’accudimento dei figli. Continua a rimarcare una netta differenza di genere nei ruoli, in base a quello che, tradizionalmente, è sentito maschile o femminile: il lavoro di cura a lei e a lui il resto. Lei resta a casa, lui va in ufficio. Questa è la normalità. Se l’uomo rispetta questa dinamica è “il papà”; in caso contrario diventa “il mammo”.

In fin dei conti, è una parola del tutto inutile, perché non dà reale valore, ma svilisce il ruolo del papà e lo mette a margine di tutto ciò che riguarda figli e figlie.

Quel che è peggio è la volontà di ridicolizzare il ruolo con la parola “mammo”: l’uomo che cambia il pannolino, prepara il pranzo, aiuta nei compiti e magari fa anche la lavatrice è talmente fuori dall’ordinario che fa quasi ridere. Fare dell’ironia, anche sessista, declinando mamma al maschile ribadisce che il ruolo del padre non è quello di accudire e il suo posto non è la casa e sottolinea ancora di più che, se l’uomo sceglie i figli e la casa, non è normale.

Questa ironia malcelata dietro la parola non fa bene a nessuno: i figli entrano subito in questa logica rigida e binaria di suddivisione dei ruoli e i genitori continuano ad essere etichettati.

Poi, forse, c’è in ballo la questione della virilità maschile: la convinzione spesso diffusa è che un uomo è molto più uomo se lavora, se è la prima (e a volte unica) fonte di sostentamento della famiglia, se non si abbandona troppo alle emozioni e all’affettività. 




Ecco che, se prepara il biberon o il pranzo, rimbo
cca le coperte e legge la favola, con tanto di bacio della buonanotte, non è più maschio: questo è il messaggio che trasmette la cultura patriarcale.

In questo modo, però, non si fa altro che privare l’uomo della possibilità e della gioia di rivestire il suo ruolo di padre, non inteso come colui che contribuisce al concepimento e poco altro, ma come colui che può e deve diventare un punto di riferimento nella vita di figli e figlie.

 Federica Carla Crovella

 

 

 

 

 

 

 

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