Cadere nel pozzo: guaio o opportunità? Uno scambio tra Natalia Ginzburg e Alba De Cespedes




Era il 1948 quando sulla rivista «Mercurio» di Alba de Céspedes usciva Discorso sulle donne”, firmato Natalia Ginzburg. Oggi è nel volume «Un’assenza. Racconti, memorie, cronache» (2016) curato da Domenico Scarpa.

Nonostante sia chiaramente rivolto ad un pubblico femminile, è diventato uno dei testi più letti e apprezzati di Ginzburg, forse anche dai lettori e non solo dalle lettrici. Condivido in pieno una considerazione di Alba De Céspedes su questo brano e la prendo in prestito: «È così bello sincero che ogni donna, specchiandosi in esso, senti i brividi gelati nella schiena».

La discesa delle donne 

Nel suo scritto Ginzburg rivela «un guaio tenuto più o meno segreto, più o meno grosso» sulle donne: la loro tendenza a cadere in un profondo pozzo oscuro e lasciarsi prendere dalla malinconia, affogarci dentro e poi tornare a galla annaspando. Questa abitudine, spiega, proviene dal «temperamento femminile» e dai secoli di storia in cui sono state sempre subordinate a qualcuno o qualcosa, e difficilmente possono liberarsene.

Se andiamo oltre la metafora? Quel pozzo oscuro, che le spaventa e le attrae, è la loro interiorità, in cui puntualmente trovano una sofferenza che sembra senza confini, ma accanto anche una profondità di sentimenti rara e preziosa. 

Secondo l’autrice questa sofferenza arriva dal corpo, a cui le donne sono assoggettate fin dall’adolescenza, quando cominciano a guardarsi e non piacersi, fino alla vecchiaia; allora dovranno curarlo anche se «non servirà più a far l’amore, né a girare i paesi, né a fare dello sport». Il legame con il proprio corpo le rende schiave anche di un altro cordone che non riescono a tagliare: la maternità, indipendentemente dal fatto che abbiano o non abbiano figli.

Siamo tornate in superficie?

Negli anni la donna, guardando il proprio corpo con gli occhi dell’uomo, ha continuato a svilirlo e giudicarlo, oserei dire soprattutto quando sanguina; ma ha anche iniziato a lottare per accettarlo e riappropriarsene. Non solo decidendo lei per prima come e quando usarlo, ma provando a liberarlo dalle costruzioni culturali imposte da una società maschilista. 

Obiettivo raggiunto? Non del tutto, credo, perché il corpo femminile continua ad essere oggetto di mercificazione; perché ancora oggi molte donne si guardano allo specchio e non si piacciono; perché su di loro pesano gli standard di perfezione imposti dalla società, che molte cercano affannosamente di raggiungere. Ancora oggi si sentono dire «dimagrisci, ingrassa, truccati, vestiti in un certo modo». La regola generale sembra sempre la stessa: il corpo è la prima cosa che serve per piacere a un uomo...e ti pareva! A chi altrimenti? Non basta piacere a se stesse?

Credo siano tante le situazioni in cui le donne rischiano di ricadere in quel pozzo fatto di poco amore verso se stesse: quando si perdono dietro un giudizio svalutante che credono vero, quando non si sentono all’altezza di una situazione, o ancora peggio di una persona, quando sono usate e abbandonate, lasciate sole e caricate di troppe responsabilità...e si potrebbe ancora andare avanti.

Spesso le donne negano, soprattutto davanti agli uomini, di esserci dinuovo cadute dentro; del resto, alla maggioranza degli uomini il pozzo è totalmente sconosciuto. Loro sono più forti e consapevoli del proprio corpo, ma soprattutto abili a dimenticarsi di sé e identificarsi con il loro lavoro, spiega l’autrice. Le donne, invece, sostiene, non possono dimenticarsi di se stesse e smettere di guardarsi dentro. Come fanno a nascondere “il loro guaio”? Tornano al loro primo antagonista, il corpo, ricorrendo a «grandi cappelli e bei vestiti» e a «bocche dipinte». 

Due punti di vista a confronto…

Alba de Céspedes risponde allo scritto di Natalia Ginzburg con un punto di vista diverso. Scrive così in una lettera: «Al contrario di te, credo che questi pozzi siano la nostra forza. Poiché ogni volta che cadiamo nel pozzo noi scendiamo alle più profonde radici del nostro essere umano e nel riaffiorare portiamo con noi esperienze tali che ci permettono di comprendere tutto quello che gli uomini non comprenderanno mai».

A che cosa si riferisce? Alle malinconie, ai sogni, alle debolezze, alle aspirazioni; insomma, a «tutti quei sentimenti che formano e migliorano l’animo umano».

L’abitudine di cadere nel pozzo per De Céspedes può essere un’opportunità per diventare più forti e libere. Infatti, ciascuna in fondo al pozzo può guardarsi dentro, capirsi e scoprirsi, anche se il prezzo da pagare è un po’ di sofferenza.

Per lei il pozzo è anche il luogo dell’empatia e della solidarietà femminile. È impensabile che sia una donna a spingere un’altra donna sul fondo, anche se sono due estranee, perché tutte ci finiscono dentro e tutte vivono la stessa sorte. Dice una cosa da cui forse ancora oggi le donne potrebbero imparare; cioè che quando una donna cade nel pozzo, le altre sono pronte ad accoglierla e consolarla, anche se sono nemiche o estranee. Infatti, è proprio capendo il dolore altrui che si risale in superficie. Su questo le due autrici concordano e riconoscono quanto le donne possano capirsi a fondo quando tra loro parlano del pozzo.

Sono sempre gli uomini, dice De Céspedes, che gettano le donne nel pozzo, ma inconsapevolmente, a volte con le parole e altre con i silenzi. Anche se apparentemente sembra giustificarli, non fa sconti a nessuno; al contrario, ipotizza che gli uomini non abbiano pozzi in cui cadere e quindi non possano venire a contatto né con la profondità dei sentimenti femminili né con «le verità dell’amore», anch’esse finite sul fondo del pozzo. Ecco spiegata la loro inconsapevolezza. Poi, svela un nostro desiderio: «noi siamo spesso infelici in amore, appunto perché vorremmo trovare un uomo che anche lui cadesse qualche volta nel pozzo e, tornando su, sapesse quello che noi sappiamo. Questo è impossibile, vero, Cara Natalia?, e perciò è impossibile per noi veramente essere felici in amore».

Da che parte stare?

Forse qualche anno fa avrei concordato con Ginzburg. Sarà che il tempo passa, ma oggi, pur amando il suo scritto, sono abbastanza d’accordo con De Céspedes. Nonostante amplifichi, e tanto, le sofferenze, credo che il pozzo possa diventare una risorsa, perché ci permette di vivere più a fondo noi stesse e quelle situazioni in cui la vita diventa più autentica.

Concordo sulla possibilità di riscoprire nel pozzo il valore e il potere della solidarietà tra donne: infatti, questa discesa regala la possibilità di entrare in empatia con l’altra e trovare in lei una parte di sé, piccola o grande che sia. Essere solidali ed empatiche con tutte le altre donne non è sempre possibile, ma fortunatamente c'è ancora chi nella diversità vede un valore: oggi si lascia troppo spazio all’invidia, alla cattiveria, al giudizio superficiale; invece, non c’è niente di male nell’essere diverse l’una dall’altra. 

Natalia Ginzburg dice anche che tutte le donne sono degne di commiserazione per il loro comune destino. Alla voce “commiserare” il dizionario dice: “considerare con pietà e compassione, talora anche con senso di superiorità o di disprezzo”. Credo sia importante non leggere il termine nell’accezione negativa, ma mettere l’accento sulla compassione, cioè sul patire insieme, entrare in empatia.

Sono da ammirare le donne, perché cadono nel pozzo ma riescono a uscirne. Credo che molte di loro  – e anche alcuni uomini – ci cadano perché hanno bisogno di toccare quelle profondità; diventa un appuntamento ciclico con sè stessi, con la propria autenticità, nonostante questo significhi confrontarsi pure con le proprie fragilità.

Entrate nel pozzo e mentre cercate tutto ciò che di positivo può essere portato a galla, prendete qualcosa anche dalla sofferenza, consapevoli che da quel pozzo uscirete più forti, più ricche, più strutturate e, di conseguenza, più libere. 

 Federica Carla Crovella

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