Smascherare il sessismo sul posto di lavoro: intervista a Hella Network

 




Sto solo facendo il mio lavoro! È questo il titolo di una guida redatta da Hella Network, che nasce come collettivo e oggi è un network per la comunicazione inclusiva Hella Network – Il network per la comunicazioneinclusiva

La guida porta alla luce il sessismo nascosto nei luoghi di lavoro, portando diversi esempi di atteggiamenti e frasi frequenti ed è stata presentata in occasione del WeWorld Festival, organizzato per parlare di empowerment, di diritti e della condizione femminile.

Come imparare a riconoscerli? Prima di tutto mostrandoli, proprio per come si presentano nel quotidiano. Infatti, «la prima regola per evitare il sessismo è conoscerlo», dice la guida in introduzione. Sì, perché quando le cose diventano più visibili sono anche più facili da individuare e combattere.

Ho intervistato la Fondatrice di Hella Network, Flavia Brevi, che anche a nome di tante altre persone ha raccontato questa iniziativa.



Come è nata l'idea di strutturare la guida e con quale obiettivo?

L’idea è partita da un messaggio che una partecipante di Hella Network, Roberta Frau, ha condiviso nel gruppo Facebook. Si sentiva a disagio per una frase che le era stata detta, senza cattiveria né malizia, da una persona con buone intenzioni, nonostante fosse ben conscia che le fossero capitate cose peggiori.

Così ha proposto una guida per la comunicazione sul posto di lavoro che desse alle professioniste il giusto valore. Perché quello che abbiamo constatato è che certe espressioni, che potrebbero apparire come complimenti, di fatto depotenziano la donna sul lavoro. Succede quando a una riunione chiamiamo tutti gli uomini “Dottori”, indipendentemente dal fatto che abbiano una laurea o meno, mentre noi siamo “signore”, anche quando avremmo il titolo di studio per essere chiamate Dottoresse.

Succede quando facciamo un complimento sull’aspetto fisico anziché sulle competenze o i risultati raggiunti, specie quando c’è un rapporto sbilanciato di potere tra chi fa e chi riceve quel complimento. 

L’obiettivo, quindi, era proprio di mettere in luce e far riflettere su quelle frasi o quegli atteggiamenti che diamo per scontati e che vengono esercitati da tutti i generi, perché siamo tuttə cresciutə in una cultura sessista.



Come avete lavorato?

Come per ogni campagna: abbiamo chiesto alle persone del Network se volessero partecipare al gruppo di lavoro dedicato alla campagna. Con chi ci ha dato la sua disponibilità abbiamo prima steso una serie di situazioni in cui ci siamo ritrovate (eravamo tutte donne) e confrontandoci abbiamo capito che non solo era necessario denunciare queste frasi sessiste, ma anche dare la spiegazione del perché lo sono, dato che in apparenza non sembrano così insidiose. I libri e le ricerche che abbiamo letto ci hanno aiutate a delineare quelle spiegazioni.



Quali benefici vi sembra che abbia portato fino ad ora tra le lavoratrici e i lavoratori?

Non siamo in grado di fare alcuna valutazione di tipo quantitativo, ma alcuni feedback ricevuti ci hanno confermato che, dopo aver letto la guida, qualcunə aveva iniziato a farci caso e quindi a evitare di usare certe espressioni.

Inoltre, le numerose testimonianze raccolte tra i commenti del post ci hanno dato la prova di quanto fosse sentita la questione dalle singole persone, anche se fino ad ora non era stata messa pubblicamente sul tavolo.

Come è stata recepita da entrambi i generi?

Come immagini, quando un contenuto si diffonde sui social, puoi aspettarti di tutto. Grazie alle migliaia di condivisioni ricevute, la campagna ha raggiunto oltre 921 mila persone (tutto organico, senza sponsorizzazione). E questo senza contare gli articoli di Vanity Fair e ANSA che la riprendevano, oltre che la diretta di presentazione della Guida durante il WeWorld Festival. La fanbase di Hella Network è composta da 7.800 persone e da social media manager posso fare due constatazioni:

1)     Che abbiamo battuto l’algoritmo perfido di Facebook;

2)     Che per forza di cose questo significa raggiungere persone fuori dalla tua bolla. Possono essere non-fan che però condividono i tuoi stessi valori (e allora in quel caso trovi il consenso) e possono essere non-fan contrari al femminismo, e allora arrivano i classici commenti del tipo “ci sono cose più importanti” fino al negare la pericolosità dei casi che andavamo a menzionare. La maggior parte delle persone contrarie erano uomini. E tutto ciò nonostante moltissime donne abbiano riportato nei commenti le proprie esperienze di vita in cui andavano a confermare quanto certe espressioni fossero lesive per la dignità della persona e della professionalità.

Ovviamente anche alcune donne hanno cercato di minimizzare i fatti, ma quello che riscontriamo è che le oltre 27 mila reaction ottenute e i 2000 commenti raccolti sono perlopiù positivi e perlopiù di donne. È un peccato che ci siano ancora pochi alleati.

Purtroppo gli insight di Facebook non ci permettono di raccogliere le reazioni di chi non si identifica nel binarismo di genere.

Mi sono concentrata su Facebook perché è lì che la campagna “è esplosa”, ma in effetti è andata molto bene anche su Instagram e Linkedin. 


Quanto è frequente la discriminazione femminile sul lavoro e quanto capita anche agli uomini? 

Ci sono dei dati visibili che ci danno una misura del gender pay gap (attestato al 18% in Italia) e del soffitto di cristallo (per esempio, nelle società di comunicazione la forza lavoro è al 66% femminile, ma le donne al vertice sono solo il 33%). E già questi dati fanno paura.

Quelli che mi fanno ancora più paura, però, sono i dati impossibili da raccogliere: quante donne non hanno mai potuto accedere al mercato del lavoro in quanto a loro sono stati designati in automatico i lavori di cura (da esercitare gratuitamente), quante sono state scoraggiate dall’intraprendere un percorso di studi STEM o quante sono state convinte dalla nostra cultura che l’indipendenza economica non fosse così necessaria, se avessero trovato un buon partito da sposare.


Quali sono le prospettive future di questo fenomeno? Potrebbe migliorare la situazione?

Stavamo uscendo, molto lentamente, da questa situazione, ma la pandemia ha frenato tutto e ci ha riportate indietro. Secondo il Global gender gap report 2021, non ci vorranno più i previsti 99,5 anni per raggiungere la parità di genere, ma 135 anni. E nell’ambito economico è ancora peggio: serviranno più di 267 anni per colmare le differenze.

Inoltre l’ISTAT ha comunicato che il 98% delle persone che avevano perso il proprio posto di lavoro a causa del COVID erano donne.

Possiamo uscirne, ma solo se intraprendiamo delle azioni politiche volte a evitare queste discriminazioni, per questo sostengo ampiamente le proposte de Il Giusto Mezzo.



Quali consigli dareste a chi si trova a fronteggiare questi problemi sul lavoro?

Innanzitutto è necessario parlare di più di soldi, anche con le persone nostre colleghe, per capire se dove lavoriamo è in atto una disparità salariale.

Informarsi sui propri diritti, specie se si sta subendo una discriminazione, e chiedere una consulenza legale nel caso.

Infine, per quanto riguarda le questioni di linguaggio o le situazioni che abbiamo ripreso nella nostra guida, parlare con le persone interessate e far capire loro cosa ci ha messo a disagio.

Non solo: chi è testimone di una discriminazione dovrebbe esporsi e intervenire. Non siate i Charles Michel della situazione.


Ecco tutti i punti della guida! 

hella_sto solo facendo il mio lavoro.pdf - Google Drive

Grazie a Hella Network e a Flavia Brevi per questo prezioso contributo.

Federica Carla Crovella

 

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