Movimento LGBT tra storia e linguistica

 


La notte tra il 27 e il 28 giugno 1969 è stata raccontata spesso cercando di ricostruire i fatti, ma come spesso succede la storia si mescola alla leggenda.

Siamo a New York, dove la State Liquor Authority non concedeva la licenza ai locali che si dimostravano aperti alle persone omosessuali, poiché considerati dannosi per i valori della comunità. In quel periodo, ma già negli anni Cinquanta, erano all’ordine del giorno le incursioni della polizia nei locali gay. Le persone omosessuali e transgender potevano facilmente essere arrestate, poiché considerate colpevoli di un crimine, anche semplicemente se consumavano alcol, indossavano abiti tipici del sesso opposto o si baciavano.

Che cosa avvenne quel 28 giugno? I fatti di quel giorno, avvenuti dopo la mezzanotte, sono stati denominati come la rivolta di Stonewall. Il nome? Deriva da quello del bar in cui ebbe inizio la rivolta: lo Stonewall Inn. Nel locale ci fu una retata intorno all'una e mezza di notte, tardi rispetto il solito, e la polizia si mosse per arrestare chi non aveva con sé un documento d'identità, chi era vestito con indumenti del sesso opposto e i dipendenti del bar. Le persone interessate cominciarono a rispondere agli attacchi della polizia e in proposito si raccontano diversi aneddoti. Per esempio, tra le persone coinvolte si ricordano due attiviste transgender: Marsha P. Johnson, che pare abbia reagito scagliando un bicchiere contro uno specchio, e Sylvia Rivera, che scagliò un tacco contro un poliziotto. È sempre difficile determinare dove termini la leggenda e dove cominci la realtà, ma lo Stonewall Inn non restò a guardare e si parla anche di una folla di circa 2000 persone portata sul luogo dal passaparola per scagliarsi contro gli agenti. Certamente, fu una reazione della comunità senza precedenti, con l’obiettivo di ottenere i diritti negati.

Ecco perché, da allora, il 28 giugno è stato scelto simbolicamente come data d’ inizio del movimento LGBT.

Chiariamoci le idee: una parentesi linguistica


Spesso si usano alcune espressioni come sinonimi, sovrapponendole tra loro o usandole in un contesto e in un modo scorretto. Facciamo chiarezza su alcune coppie di termini.

  • L’orientamento sessuale non è l’identità di genere. Quando si parla di orientamento sessuale si fa riferimento all’attrazione (fisica, sessuale, emozionale) che una persona prova nei confronti di un’altra. Non è qualcosa che si sceglie intenzionalmente, ma imparando a comprendersi e ascoltarsi se ne può prendere consapevolezza. Si parla in questo caso di eterosessualità, omosessualità o bisessualità. L’identità di genere, invece, è il senso di appartenenza di ciascun* a un genere, che può essere maschile, femminile o non binario. Può coincidere con il sesso biologico e in questo caso si parla di persona cisgender; quando l’identificazione non coincide con il sesso biologico si parla di persona transgender. Ancora, le persone di genere non binario non si riconoscono esclusivamente in un genere, agender sono le persone che si rifiutano di identificarsi in un genere.
  •  Transgender e transessuale non hanno lo stesso significato. È transgender la persona che si identifica con il genere opposto al proprio sesso biologico, ma non necessariamente vuole assumerne le caratteristiche fisiche. Invece, la persona transessuale non solo si identifica con il sesso opposto, ma desidera assumere quei tratti somatici.
  • Infine, si sovrappongono spesso le espressioni fare outing e fare coming-out , usandole come sinonimi,  ma il significato non è lo stesso. Fare outing deriva dall’inglese “to out”, che significa “buttare fuori” e nella terminologia lgbt vuol dire rivelare l’orientamento sessuale di una terza persona, spesso senza il suo consenso, dunque si divulgano, si buttano fuori, appunto, informazioni che la persona interessata avrebbe tenuto per sé. C’è chi compie questa azione per così dire in buona fede, credendo di andare in aiuto della persona che ha difficoltà a parlare di questo lato di sé, ma c’è anche chi lo fa per vendetta personale o puro gossip. In ogni caso, questo è un atto che lede la privacy. Fare coming-out significa letteralmente “uscire dall’armadio” e quindi svelarsi e svelare agli altri una caratteristica di sé che prima era privata. Infatti, chi decide di fare coming out sceglie di comunicare apertamente e volontariamente, in prima persona e senza alcun intermediario, la propria omosessualità

Sono termini che spesso oggi vengono usati, sbagliando, non solo nel loro contesto originario, ma più in generale quando si decide di rivelare  qualcosa che prima era tenuto nascosto. Quando si comunica, sia nello scritto sia nel parlato, dovremmo sempre essere rispettosi delle parole e verificare anche quelle sfumature che consideriamo “piccolezze”: sono grandi differenze per chi in quei termini si riconosce.

Federica Carla Crovella

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