Marketing e genere: fare scelte costruttive è possibile


Anche il marketing deve fare i conti col genere, più di quanto si immagini. Ma è giusto che sia così? Quali sono le modalità migliori per farlo? Prima di rispondere, facciamo un passo indietro. 

Il Gender Marketing è un tipo di commercializzazione che si basa sull’identità di genere e produce contenuti specifici, che dovrebbero fare appello a un certo genere sessuale. Tendenzialmente, il marketing sceglie di usare il genere per attirare il pubblico, perché è proprio in questo che il pubblico si riconosce. Ne consegue che, in un’ottica di marketing, le persone dovranno ritrovarsi nel concetto di mascolinità e femminilità imposto dalla pubblicità, che lo prende in prestito dalla società, che tende a perpetrare gli stereotipi. Ne consegue che spesso la comunicazione è intrisa di preconcetti e, in alcuni casi, può addirittura sfociare nel sessismo.

Ma perché questa scelta? Quale vantaggio ha il marketing di genere? Al suo interno c'è ancora poco spazio per deviare o invertire questi ruoli, gli stereotipi sono condivisi dalla maggioranza delle persone e persistono nel tempo. Allora è proprio qui che seve un cambio di passo.

Ieri e oggi: che cosa sta cambiando? Dove si sbaglia ancora?

Prima degli anni ’90 le pubblicità guardavano soprattutto ad un pubblico maschile, escludendo tutta quella fetta che non si riconosceva in quel genere. Solo dopo si comincia a capire che la comunicazione non può più essere così marcatamente maschile. Con l’andare del tempo, ma soprattutto con l’evoluzione della società, la comunicazione ha cercato di diventare sempre più “unisex”.

Soprattutto negli ultimi anni il potere di agire sul marketing è sempre più in mano ai consumatori. Infatti, se oggi la società è diventata molto più fluida e la percezione si sta muovendo molto più verso la neutralità del genere, questo si riflette anche nel marketing. Sicuramente più che in passato si assiste oggi ad un’inclinazione verso il Neutral Gender Marketing, dove il valore dell’azienda incontra la necessità del cliente prima del genere. Concretamente questo significa linee e prodotti Genderless e campagne di comunicazione che non possono prescindere dall’equità tra i generi.

Sembra molto facile, lineare, immediato, ma non è ancora così. Nonostante oggi ci sia più attenzione alle questioni di genere, talvolta torna la tendenza ad appoggiarsi alla distinzione binaria uomo-donna, non solo continuando a tenere fuori le altre identità, ma perpetuando ancora tanti stereotipi ormai fin troppo obsoleti. Basti pensare ai canoni socio-culturali di bellezza femminile e di virilità maschile che si riversano in molteplici forme di comunicazione, tutt’altro che costruttiva.

Proviamo a trovare un perché?

 C’è la sensazione che il genere possa diventare una sorta di scorciatoia per arrivare più velocemente e più facilmente al consumatore e, di conseguenza, facilitarsi il lavoro. Spesso, però, la strategia che sembra più efficace e produttiva si rivela ingannevole. Ci sono casi in cui far leva sulle differenze di genere è fuori luogo e inutile e nemmeno in una logica di guadagno è il punto di partenza più indicato e la strategia commerciale migliore per un brand. Prima di tutto si dovrebbe osservare come uomini e donne recepiscono informazioni ed emozioni, oppure come interagiscono e come vivono: allora, individuati i bisogni del proprio target, si lavora per soddisfarne le esigenze. Spesso, invece, ci si concentra comunque sul genere, anche quando non sarebbe necessario, nei casi più gravi senza avere ben chiara la differenza tra genere e sesso.

Dalle strategie di marketing al sessismo il passo è breve

A volte ci si accorge di sbagliare e a volte no. Un esempio? Basta entrare al supermercato. È innegabile che alcuni siano destinati esclusivamente alle donne, ma spesso si ricorre alla distinzione uomo-donna anche dove non esiste. Secondo diverse ricerche, di fatto, mediamente le consumatrici pagano di più rispetto agli uomini per prodotti di uso quotidiano, proprio per queste differenze di marketing. L’esempio classico è quello dei rasoi: una ricerca di ShowersToYou.co.uk, tra i principali rivenditori online di bagni nel Regno Unito, ha effettuato uno studio su 1377 uomini e donne e ha scoperto che per lo stesso marchio di rasoi usa e getta, alle donne viene addebitato il 60% in più rispetto agli uomini. Lo stesso studio rileva che i due prodotti erano quasi identici, non cambiavano né nelle dimensioni né nel numero di lame, ma sostanzialmente solo nel colore diverso, il rosa, quindi un puro fatto di marketing. Anche un’indagine del Times dimostra che i rasoi standard per le donne tendono a costare il 49% in più.


Risultato? Statisticamente le donne hanno iniziato ad acquistare rasoi pensati e prodotti per gli uomini, che svolgono la stessa funzione, senza alcuna differenza e senza alcun reale beneficio esclusivo per il genere femminile. Si sono mosse anche alcune aziende, come
Tesco, che ha pareggiato i prezzi per i due prodotti e ha registrato un cambio di passo. Dietro questa decisione probabilmente ci sono state pressioni da parte della politica, ma è comunque un esempio utile per capire quanto una strategia di marketing neutra, che non stabilisca rigide differenze di genere, possa essere realmente più vantaggiosa anche per i marchi.

Anche ricorrere a tutti i costi alla sessualizzazione non è una buona strategia, anche se può mascherarsi da leva molto potente. L’esempio classico è l’associazione macchina-donna, che fa male non solo alle donne ma anche agli uomini.

Stando a vecchi stereotipi, la bella macchina diventa l’elemento determinante per la conquista di una donna. Ma perché continuare ad assecondare questo modo di vedere, che associa automaticamente il possesso dell’oggetto a quello della persona?

Sembrava si fosse capito che il binomio ormai non sta più in piedi, ma certi stereotipi sono duri a morire. Così, nel 2020 la concessionaria Dream Car di Savona pubblicizza il suo usato così, reificando il corpo femminile nel modo peggiore, rifacendosi oltretutto a una campagna passata di Bmw, già criticata allora:



Forse da questo tipo di pubblicità ci sarà un guadagno materiale, non certo in termini di etica e stile, ma oltre a questo? Una bieca mercificazione della femminilità, che non fa altro che rinnovare messaggi sbagliati.

Promuovere la differenza nella parità: due esempi

In altri casi, forse l’errore non è partire dalle differenze di genere, che sono normali e fisiologiche, ma nel non saperle interpretare e restituire in modo costruttivo. È importante diventare sempre più consapevoli delle differenze di genere, ma bisogna farlo con l’intenzione di superarle.

Due marchi c’hanno provato, c’hanno creduto e sembra ci siano riusciti: Indesit e Heineken hanno sviluppato campagne completamente slegate dagli stereotipi a cui siamo solitamente abituati.

Indesit già dal 2015 è il primo marchio di elettrodomestici che promuove la parità di genere all’interno della famiglia con la campagna #DoItTogether.

Se siamo affezionati all’idea che lei si alzi a preparare la colazione e si dedichi alle faccende domestiche, nella prima versione i ruoli sono del tutto invertiti: lei va a lavorare, torna a casa la sera e viene accolta da lui che durante la giornata si è occupato della casa e dei bambini. È proprio ribaltando i ruoli e attribuendo sia all’uomo sia alla donna compiti che solitamente non ci aspetteremmo, il marchio dimostra che non ci sono ruoli naturalmente prestabiliti, ma quelli vigenti sono erroneamente imposti dalla società. Chi non vi dice che nel fine settimana sia lei a preparare la colazione?


Nel 2019 Indesit continua sulla stessa linea ma cambia un po’ il messaggio: educare i più piccoli alla collaborazione in famiglia, proprio come ha fatto la nonna, che ha cresciuto il figlio senza stereotipi rigidi, facendo di lui un uomo indipendente e collaborativo (e facendo la felicità della nuora).

 


 Nella versione del 2021 si chiede ai bambini di riprodurre i comportamenti dei genitori: ecco che tutto subito torna la solita disparità nella suddivisione dei compiti, a discapito del genere femminile. Obiettivo? Interpretare le dinamiche famigliari dal punto di vista dei bambini e sensibilizzare gli adulti ad atteggiamenti non stereotipati e responsabili.

Anche Heineken ha dimostrato che gli stereotipi si possono rovesciare e che il consumo di alcolici non è necessariamente legato al genere sessuale.

La birra da sempre è una bevanda che nell’immaginario collettivo rimanda alla mascolinità e, talvolta, ha finito per sessualizzare la donna. È il casso di Peroni, che negli anni ’70 associa il piacere legato alla birra e quello sessuale. Lo slogan “Chiamami Peroni, sarò la tua birra” accosta la bottiglia, che ricorda vagamente un fallo, al corpo della donna.

Il salto di qualità è arrivato con Heineken nel 2020, quando la pubblicità mostra che gli uomini possono ordinare un cocktail e le donne scegliere la birra, nonostante spesso si dia per scontato il contrario. Infatti, proprio per il peso e l’influenza degli stereotipi le ordinazioni vengono invertite. Fortunatamente, pubblicità e realtà in questo caso vanno di pari passo. Secondo l’indagine 2020 “Gli Italiani e la birra” di AssoBirra, il 70% delle italiane consuma birra e il 30% di loro almeno due volte a settimana. Tra donne e uomini, per quanto concerne il consumo di birra, non sembra ci siano disparità, in Italia come in gran parte del mondo, e il consumo femminile è decisamente aumentato rispetto a qualche decennio fa.



Ecco come una rappresentazione mediatica sempre più libera da stereotipi sia positiva sia per le aziende, che saranno riconoscibili per certi valori, sia per la società, che sarà “nutrita” con messaggi costruttivi.

 Federica Carla Crovella

 

 

 

 

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