Dar voce a chi non parlerebbe: intervista a Break The Silence

 

Break The Silence intervista

Non è nato da molto, eppure, è già tanto grande: nel seguito, negli obiettivi e nei risultati. È un progetto che è partito da Torino per rompere il silenzio e dar voce alla violenza di genere attraverso i social. Si chiama Break The Silence e permette a tante altre donne – e a chiunque lo voglia –   di raccontare le loro storie di molestie e vessazioni nel completo anonimato. A gestirlo sono Mariachiara Cataldo, Francesca Valentina Penotti, Giulia Ghinigò e Francesca Sapey.



Tutto è nato dopo il primo periodo di lock- down, quando alla prima uscita con le amiche Mariachiara subisce violenza verbale per strada e decide di non rimanere più in silenzio. Così nascono le pagine di Instagram e Facebook, in cui si sono espresse tante persone. Attenzione: persone, non solo donne. Sì, ci sono anche uomini che partecipano e questo ha davvero il sapore dell’inclusività.

Del resto, l’obiettivo è proprio stare accanto a chi subisce violenza, allontanando il senso di abbandono e creando una grande cerchia fatta di solidarietà. Questo progetto permette anche di gridare al mondo che la violenza esiste, anche in un commento indesiderato o un gesto che non rispetta la privacy e la dignità fisica e psicologica della persona, senza necessariamente arrivare al femminicidio. Chi pensa che un banale apprezzamento o un fischio non sia violenza sbaglia e alimenta la convinzione che non sia neppure un problema, ma qualcosa di normale, abituale e magari anche divertente.

Accanto alle testimonianze, raccolgono anche interventi di esperti/e, ad esempio psicologi e psicologhe, avvocati e avvocate e altre figure professionali, per osservare da tanti punti di vista il problema della violenza.

Ma io ho già parlato troppo. Lascio la parola a Mariachiara Cataldo e a Break The Silence.

 

Quali caratteristiche accomunano le persone che vi contattano?

Ciò che le accomuna è principalmente il bisogno di raccontare le loro esperienze, non avendo avuto il coraggio o il modo di farlo prima. C’è un forte senso di comunità e di solidarietà reciproca, ma soprattutto si sente la necessità di farsi sentire, di denunciare le violenze subite, siano esse verbali, psicologiche o fisiche.

 

Quale vi sembra sia la risposta del pubblico maschile alla vostra iniziativa?

La risposta maschile alla nostra iniziativa è sorprendente, moltissimi ragazzi e uomini ci scrivono per supportarci, ma soprattutto per ringraziarci per aver “rotto il silenzio” su un argomento che spesso è trattato come un tabù e per questo motivo a molti sconosciuto. Tantissime persone, infatti, non si rendono conto della diffusione e della gravità del fenomeno ed è attraverso le nostre parole, le nostre storie che dobbiamo buttare giù il muro di indifferenza che si è creato intorno alla violenza.

 

Ci racconti gli sviluppi di questi mesi?

Il progetto è riuscito a espandersi e siamo in totale 16 referenti in giro per l’Italia. Sono rimaste scoperte davvero poche regioni. Man mano che crescevamo abbiamo attivato la possibilità di candidarsi per entrare a far parte di Break the Silence, poi facciamo una videochiamata conoscitiva per confrontarci con le persone che si propongono. È possibile candidarsi sia come referenti per le regioni sia come esperte o esperti per intervenire su un tema. Fin da subito abbiamo cercato di portare un contributo scientifico con il nostro progetto e così continuiamo a fare, lasciando la parola a chi è competente in materia, quindi professionisti e professioniste. Poi ci sono anche chiacchierate più informali, ma l’obiettivo è guardare al problema con cognizione di causa. È cresciuto molto anche il numero di esperti ed esperte: per questo stiamo pensando di creare un database con i riferimenti di chi collabora al progetto, perché abbiamo capito che è importante non far finire nel dimenticatoio alcun contributo, nemmeno quelli più datati, quindi permettere anche una fruizione più rapida.

 

Periodicamente continuate a organizzare eventi online, nell’attesa di tornare in presenza?

Certo. Quando le persone si rivolgono a noi di solito ci chiedono aiuto quando già hanno subito violenza; noi mettiamo in contatto con gli/le esperti/e, non ci sostituiamo mai a loro. Però abbiamo sempre detto meglio prevenire che curare e per farlo organizziamo tanti eventi online, coinvolgendo per esempio scuole o gruppi dell’oratorio. Stiamo entrando anche nel contesto aziendale.

 

Che bello! Come impostate gli incontri?

Con le scuole abbiamo già interagito con… non mi piace usare il termine lezioni, perché vorremmo evitare approccio frontale. Partiamo da un questionario di qualche minuto, che precede una tavola ritonda e un’attività. L’obiettivo è creare dialogo e scambio di idee e lasciare spazio anche a chi magari la pensa diversamente o non capisce perché alcuni atteggiamenti si possono già considerare violenza, senza arrivare al femminicidio. Per ora abbiamo cominciato nei licei, dove è più facile trattare certe tematiche. Con i più piccoli ci siamo promesse di farlo, ma sarebbe più semplice in presenza, organizzando magari anche dei giochi, col supporto di psicologi. Con una scuola di Bardonecchia abbiamo chiesto a ciascuno di scrivere cosa significassero per loro le pari opportunità e alla fine hanno scritto il loro Manifesto. Abbiamo chiesto un feedback sul nostro intervento e ci hanno detto che è stato utile perché li coinvolge dicendo la verità, senza nascondere dei dettagli o edulcorare la pillola su che cosa sia la violenza. Per ora abbiamo parlato di cose che i ragazzi subiscono di più, ad esempio la violenza verbale: l’obiettivo è far capire che questa è già una forma di violenza.

 

Con le aziende invece?

Ci rivolgeremo a quelle aziende che hanno a cuore queste tematiche e vogliono affrontarle per raggiungere un maggior benessere. Il primo incontro sarà con BNP Paribas: faremo un evento online con i loro 18mila dipendenti, probabilmente aperto anche agli esterni. Nella scelta non c’è un target preciso, va bene qualsiasi azienda, grande o piccola che sia. Parleremo soprattutto di diritti sul lavoro, come la parità di salario e il problema del congedo di maternità. Da una parte l’obiettivo è affrontare temi vicini al contesto aziendale e dall’altra parlare anche del sessismo linguistico e dei comportamenti sessisti, che spesso sono presenti in azienda. Ad esempio, c’è la tendenza a non chiamare le donne “dottoressa”, ma per nome. Se si parla con una donna si tende a sessualizzare tutto subito, a ricondurre tutto al fisico senza motivo.

 

C'è un’altra bella novità: il vostro libro!  Senza fare troppi spoiler, qualche anticipazione?

Certo!  È diviso in capitoli e dentro ciascuno ci sono circa 15 testimonianze. Sono un centinaio… non avremmo potuto raccogliere tutte quelle che abbiamo nel nostro database, sono troppe. Ad ogni capitolo è associato un luogo in cui possono accedere violenze o molestie: lavoro, scuola, il web e così via. L’idea è far capire che, purtroppo, nessun luogo è sicuro… per quanto sia brutto è così. Ciascun capitolo è introdotto dall’intervento di uno specialista, ovviamente sia uomini che donne e anche da un’illustrazione di Tommaso Sgrizzi. È molto bello che sia un uomo a contribuire in questo modo al progetto. Il libro è edito da Golem Edizioni, sarà presentato a Portici di Carta e, se si farà, anche al Salone del Libro. Incrociamo le dita.

C’è anche l’idea di diventare un’associazione, adesso siamo un gruppo informale… ma vedremo.

Ringrazio Break The Silence per l’intervista e per il grande contributo con cui cerca di combattere quella che, indubbiamente, è una piaga della nostra società.

 

Federica Carla Crovella

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