Rassegna stampa di un caso di cronaca: maternità ed errori di comunicazione

Immagine di un giornale cartaceo

Prima che la nostra storia diventi di dominio pubblico, dovremmo poter dare il consenso. Ciascuno di noi ha diritto alla privacy; diritto che è stato arbitrariamente violato nel caso del piccolo Enea e della donna che l'ha partorito e ha scelto di affidarlo alla 
 «Culla per la vita» della clinica Mangiagalli a Milano. Questa struttura garantisce sicurezza e anonimato ai bambini e alle donne che scelgono di partorire in anonimato e non riconoscerli. O meglio, dovrebbe garantire tutto ciò, perchè sta succedendo tutto il contrario: le informazioni sul bambino e i giudizi sulla donna stanno riempiendo le pagine dei giornali, i social-media e le televisioni. Del bimbo conosciamo persino il colore dei capelli e il peso attraverso i giornali, ma tutto questo che cos'ha di costruttivo? 

All'assenza di privacy si aggiunge il problema del come si sta narrando la vicenda, inanellando,  uno dopo l'altro, errori di comunicazione, soprattutto nei confronti della genitorialità (e della donna).  

Una comunicazione sbagliata (non solo) nelle parole 

Viene da chiedersi perchè la decisione ponderata e sofferta di una madre debba fare il giro dell'Italia. Perchè i media devono necessariamente esprimersi sulla vicenda (e perchè un primario di neonatologia si è preso il diritto di diffondere a mezzo stampa un fatto privato?). 

Probabilmente per dipingere la donna come madre indegna che si è rifiutata di prendersi cura del figlio e, magari, anche per spingerla a cambiare idea ed esercitare il suo dovere di genitore attraverso la pressione mediatica. Così facendo, però, si rinnega il diritto di scegliere consapevolmente e responsabilmente di non prendersi cura del figlio. Perchè bisogna per forza condannare una donna, anche quando la sua scelta è stata  dettata dalla volontà di dare al bimbo un futuro migliore di quello che avrebbe potuto avere? Per la tendenza che ancora abbiamo ad arrogarci il diritto di giudicare, soprattutto quando si tratta di donne e madri. 

I giornali e le tv hanno parlato di "abbandono", ma non sarebbe più opportuno scrivere che il bambino è stato "messo al sicuro"? A quanto pare, i giornali preferiscono far leva su un sentimento lacerante come il senso di abbandono per catturare l'attenzione. 

Su Repubblica, ad esempio, si è parlato di "fallimento della società che non ha intercettato il dolore della madre", ma forse si potrebbero guardare le cose in modo diverso. Lo strumento messo a disposizione dall'ospedale ha funzionato e questa donna non ha rischiato di esporre il bambino ad un destino ancora più rischioso; questa sua scelta non è forse espressione di una vittoria? Sempre  Repubblica, dopo una sfilza di dettagli sul bimbo, scrive: 

E' stato classificato come "caucasico", cioé di carnagione bianca. E da come è stato scritto il biglietto lasciato nella culla si caspice che la madre è italiana e probabilmente - dal tono della letterina - giovane"

Sono dettagli utili solo ad accrescere la drammaticità del fatto e, forse, dietro questi dettagli potrebbe anche nascondersi un tentativo di violare la privacy della donna. La testata sbaglia ancora, e in un articolo di ieri fa diventare la storia del bambino addirittura un 'caso'. Ma c'è di più, perchè questo errore è reiterato anche da La Stampa, sempre ieri, annunciando la nascita di una neonata in un capannone.  


Anche le parole che la donna ha scritto nella lettera hanno fatto il giro dei giornali; questo ha fatto sì che i sentimenti di una persona siano stati dati in pasto ai giudizi più disparati, facendo pura e semplice "pornografia del dolore". 

Immagine di un articolo che parla di neonato abbiandonato e riporta le parole della madre scritte nella lettera

Lo stesso è avvenuto con gli appelli alla madre, affinchè vada a riprendersi il figlio (appelli che, forse non a caso, arrivano da uomini convinti di che cosa sia meglio per un bambino e pure per una donna); quello del direttore della Neonatologia e della Terapia intensiva neonatale della clinica a quello di Ezio Greggio. Quest'ultimo, come se non bastasse, rappresenta in modo profondamente sbagliato e distruttivo il concetto di maternità e genitorialità. Davvero esiste il concetto di "mamma vera" e , per di più, ancora nel 2023? Cosa ne è dei tanti genitori adottivi che crescono con amore e responsabilità bambini e bambine, rendendoli dal primo momento figli e figlie a prescndere dal legame di sangue? I giornali, poi, veicolando questi appelli li promuovono e contribuiscono, in parte, a diffondere il disinteresse verso i diritti di una donna. 

Articolo che riporta le parole del primario di Milano, che spera che la mamma di Enea torni a prenderlo

Ma i danni di questa esplosione mediatica non finiscono qui. Infatti, se la scelta di ricorrere alla «Culla per la vita» suscita tanto clamore, che addirittura viene da organi d'informazione e personaggi pubblici, perchè mai le donne dovrebbero smettere di partorire in condizioni non sicure e magari scegliere un cassonetto invece di un ospedale per i primi attimi di vita di un neonato?  

Più ci si avvicina a giornali e tv e più diventa chiaro che l'informazione deve ancora lavorare molto per essere  davvero rispettosa delle donne e delle madri. 

                                                        Federica Carla Crovella

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