Odio online: uno sguardo ai dati e uno all'esperienza quotidiana

Computer e minaccia di violenza online
foto da pixabay 

La settima edizione della Mappa dell'Intolleranza, ad opera di Vox - Osservatorio italiano sui diritti considera 
629 mila messaggi su Twitter, attraverso un softwere che analizza il sentiment e il tasso di aggressività. Risultato? Tra il gennaio e l'ottobre del 2022  c'è stato un aumento esponenziale delle manifestazioni di odio online e un attacco costante ai diritti della persona. 

Misoginia e omofobia in rete: facciamo il punto

Vox diritti nella sua indagine ha osservato, come in ogni edizione, anche la 
violenza online nei confronti delle donne e delle persone omosessuali: nei confronti delle prime i tweet negativi sono stati 241 mila; 39 mila quelli diretti contro le seconde. 

Emerge che le donne sono la categoria più colpita e da sette anni restano in cima alla classifica. Oggi il 43,21% di tweet negativi è proprio indirizzato al genere femminile, ma, se in passato al centro delle vioelnze c'era il corpo delle donne, dopo la pandemia la manifestazione di odio si è indirizzata anche verso le donne in quanto lavoratrici, detentrici di competenze professionali. Questo, probabilmente, è avvenuto anche a seguito della diffusione allo smart-working, con cui hanno potuto, almeno in parte, spezzare la netta distinzione tra lavoro fuori e dentro casa. 
Mediamente, i picchi più alti di misoginia si sono rilevati nelle città di Bologna, Terni, Roma, Caserta. L'odio online è cresciuto in corrispondenza dell’elezione di Giorgia Meloni a presidente del Consiglio, anche a seguito della sua scelta di usare il maschile per il suo titolo. "Drammatica, la concomitanza dei picchi d’odio con i femminicidi, come purtroppo le rilevazioni della Mappa dell’Intolleranza evidenziano da anni", riporta Vox Diritti.

Ragazza impaurita davanti al computer a seguito di una minaccia o violenza online
foto da pixabay 

Rispetto gli anni passati è in forte aumento l'omofobia, probabilmente anche a seguito delle polemiche sul ddlZan. Oggi la percentuale di tweet negativi tocca 8, 78% e, spesso, sono andati a coincidere sul piano temporale con le manifestazioni in varie città d'Italia a favore dei diritti. Stando ai dati, nel corso degli anni, l'odio verso le persone omosessuali "si 
era progressivamente attenuato negli anni, fino a rappresentare una percentuale minima sul totale".
Le manifestazioni di omofobia hanno convolto tutto il Nord, poi soprattutto il Veronese e la regione Calabria. Per quanto riguarda i momenti in cui si sono registrati picchi più alti, Vox Diritti riporta che ci sono state tante manifestazioni di dissenso "in occasione del monologo di Checco Zalone al festival di Sanremo, che ha raccontato una favola LGBTQ, e in generale in concomitanza con aggressioni omofobe". 

Che cosa c'è oltre il dato? 

Alla luce di questi dati, come si sta muovendo e come si potrà muovere l’Italia per tutelare chi è vittima di misoginia e violenza online? Quali strumenti abbiamo a disposizione per arginare questo tipo di abusi?

Per rispondere ho chiesto il supporto dell’Associazione PermessoNegato, ente no-profit di promozione sociale che si occupa del supporto tecnologico e di Feedback Legale alle vittime di Pornografia Non-Consensuale e di violenza online e attacchi di odio.

Facciamo un passo indietro e torniamo ai dati della Mappa dell’Intolleranza: che cosa comunicano questi dati, secondo voi, andando oltre i numeri?

Nell’opinione pubblica il fenomeno delle molestie online, ed in generale degli atteggiamenti sessisti nei confronti delle donne e delle minoranze, è ancora oggi molto sottovalutata rispetto alla sua portata, insieme all’idea che, poiché questo tipo di fenomeno si verifica online, le sue conseguenze restano confinate nella dimensione del «virtuale» e non possono quindi essere dannose per le vittime. I social e i media online diventano un nuovo spazio occupato da argomenti e linguaggi d’odio, dove la violenza può essere compiuta, spesso in maniera impunita.

Tutto questo può avallare, di conseguenza, la violenza basata sul genere. Stereotipi sessisti e pregiudizi contribuiscono a una progressiva spersonalizzazione e deumanizzazione delle donne e delle persone omosessuali, attraverso delle strategie esplicite di delegittimazione, che portano la vittima a non riconoscersi più come parte di un contesto sociale.

Lo scopo del linguaggio aggressivo online, e delle minacce sessuali, di fatti, è perfettamente riconducibile alla volontà di intimidazione, per effetto di un senso di controllo che genera sentimenti di paura.

In particolare, il comportamento aggressivo nei confronti delle donne, rafforza la conformità con gli stereotipi di genere tradizionali e ribadisce le disuguaglianze fra uomini e donne.

 Stando alla vostra esperienza, c’è la possibilità che questa rotta possa invertirsi da un anno all’altro? Cosa serve perché ciò avvenga e come si può far sì che i social media diventino uno strumento costruttivo e non veicolo di violenza?

Stando ai dati fino ad oggi condivisi, con tutta probabilità è più plausibile pensare che il fenomeno si aggravi piuttosto che migliorare. Quanto rappresentato dall’Osservatorio non è dovuto solo all’uso scorretto dei social media, ma in primis alla cattiva educazione a livello sociale, ed è questo a rappresentare l’ostacolo maggiore verso una possibile inversione di rotta. Difatti, nella misura in cui ci si trova in una società che a fatica promuove ideali come la non discriminazione, la parità di genere, la libertà sessuale e il riconoscimento e tutela delle vittime, difficilmente si potrà avere online un approccio sano verso l’altro.

Promuovere un reale cambiamento di prospettiva è necessario per accrescere la consapevolezza sulla gravità di questo fenomeno, che avviene online ma esercita conseguenze negative reali sulla vita delle persone offese. Non basterà soffermarsi sull'aspetto normativo, in quanto il più delle volte ciò non è sufficiente, ma sono necessarie campagne volte a promuovere una cultura del rispetto reciproco e permettere una partecipazione attiva alla costruzione della società e della politica, in modo critico, responsabile e consapevole.

foto da pixabay 


Sul piano legale, ci sono norme che tutelino le vittime di misoginia e omofobia sul web? Come si potrebbe intervenire per tutelare concretamente queste persone?

Nel 2010, il Comitato dei Ministri degli Stati membri ha adottato la Raccomandazione CM/Rec(2010)5 sulle misure volte a combattere la discriminazione fondata sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere.

Nel 2011, il Parlamento Europeo, attraverso l'approvazione della Risoluzione sull'"Orientamento sessuale e identità di genere nell'ambito del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite" ha ribadito la propria preoccupazione per le numerose violazioni dei diritti umani e le diffuse discriminazioni connesse all'orientamento sessuale e all'identità di genere perpetrate sia nell'Unione europea che nei paesi terzi.

Nel 2014, è stata approvata la "Tabella di marcia contro l'omofobia e la discriminazione legata all'orientamento sessuale e all'identità di genere", attraverso la quale il Parlamento europeo ha constatato l'assenza, nell'Unione europea, di una politica globale per la tutela dei diritti fondamentali delle persone LGBT.

Ancora, nel febbraio del 2018, l'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali (FRA) ha pubblicato la seconda edizione del "Manuale di diritto europeo della non discriminazione" dedicandosi, nel capitolo concernente i motivi di discriminazione, anche all'orientamento sessuale.

Quelle indicate sono solo alcune delle indicazioni provenienti dall'Unione europea nell'ambito del contrasto all'omofobia.

In Italia, al momento, sembra che solo la Regione Campania abbia accolto questi input, emanando, nel 2020 una legge regionale contro la violenza di genere e le discriminazioni determinate dall'orientamento sessuale o dall'identità di genere (Legge Regionale 7.8.2020, n. 37, Regione Campania).

Il tema della discriminazione omofobica sembra ormai così radicato in Italia da non sembrare una questione prioritaria. La materia si muove, inevitabilmente, nell'ambito dei crimini d'odio. Non si può parlare di misoginia o di omofobia online (come offline) senza richiamare i crimini d'odio.

Secondo la definizione più accreditata di crimine d'odio, emersa in sede europea, si tratta di crimini che si compongono di due elementi: una condotta che costituisce reato (qualsiasi tipo di reato); un motivo di pregiudizio alla base della condotta. In altre parole, la condotta deve essere indirizzata contro una persona appartenente ad un gruppo (razza, lingua, religione, etnia, nazionalità, genere, orientamento sessuale, identità di genere).

Oggi, certamente, possiamo ricondurre entro la categoria dei crimini d'odio, anche quelli di odio omotransfobico, oltreché quelli fondati sul genere.

Circa i contenuti illeciti (hate speech), la Commissione Europea ha adottato una serie di atti di soft law per contrastare la diffusione di contenuti illegali sulla rete, partendo dal presupposto che “ciò che è illegale offline è illegale online”.

Sull’hate speech online, in particolare, l’ordinamento nazionale non prevede alcuna legge specifica.

Appare del tutto evidente come non sia ormai più sufficiente monitorare questi fenomeni, serve un intervento deciso - sia a livello culturale che legislativo - per permettere al nostro Paese di uscire da questo pozzo oscuro di sottocultura misogina e sessista, che inquina le radici della democrazia.

Dal punto di vista informatico, come si potrebbero supportare gli enti di ricerca per mappare le manifestazioni di odio, avere una percezione più chiara del fenomeno e, magari, poter intervenire?

La raccolta dati utilizzata da Vox per estrapolare e mappare le manifestazioni d’odio all’interno di Twitter non è sicuramente alla portata di tutti, sia in termini economici che di conoscenza informatica. Purtroppo, le principali piattaforme social sembrano limitare sempre più la possibilità di un accesso pubblico a questi dati. Basti pensare che il 9 febbraio Twitter ha messo a pagamento l’accesso alle proprie API, un insieme di procedure che permettono di monitorare in via programmatica i contenuti (tweet, post, lies, ecc…) presenti nei social. Instagram e Facebook ne hanno invece impedito il pubblico utilizzo già nel 2018. Questo significa che l’unico modo per avere accesso a questi dati è pagare o le piattaforme stesso o società che offrono questo tipo di servizi. Visti anche i budget sempre più ristretti per gli enti di ricerca, l’analisi di questo fenomeno online diventa sempre più complicato. Le soluzioni tecnologiche quindi possono essere tante, dall’utilizzo delle API a quello dell’intelligenza artificiale o modelli di machine learning. Nonostante ciò, il primo passo deve venire dalle piattaforme social stesse e dimostrare veramente il loro interesse per queste dinamiche.

Se guardiamo alle soluzioni, il digitale che cos'altro può fare concretamente per provare a tutelare chi viene aggredito ed evitare il proliferare la diffusione dell’odio online? 

Risulta veramente difficile pensare a delle misure preventive per questi fenomeni, a causa della viralità che caratterizza i social network. Malcolm Gladwell - giornalista e sociologo canadese -, all’interno del suo saggio “The Tipping Point: How Little Things Can Make a Big Difference”, afferma che, come per le epidemie, la viralità nei social network vede la diffusione di un’idea che arriva ad un punto in cui il suo livello di conoscenza aumenta in maniera esponenziale. Tale momento viene definito “tipping point”, letteralmente “punto di non ritorno”, e rappresenta quel numero di persone che conosce e parla del messaggio virale oltre il quale scoppia l’epidemia.

Quando si viene a conoscenza di queste situazioni, è pertanto fondamentale agire in maniera tempestiva. Per quanto riguarda soprattutto il campo della pornografia non-consensuale, PermessoNegato rappresenta un’eccellenza sia a livello nazionale che internazionale. Infatti, siamo una delle pochissime associazioni in grado di offrire un servizio gratuito di rimozione preventiva su Facebook, Instagram, TikTok, Bumble ed altre piattaforme di contenuti per adulti. Parliamo di “rimozione preventiva” in quanto questa proceduta non solo consente la rimozione di contenuti di natura sessuale pubblicati senza il consenso delle persone ritratte su queste piattaforme, ma ne impedisce ogni eventuale successiva ricondivisione. Inoltre, attraverso la nostra partnership con il gruppo Meta, abbiamo anche la possibilità di richiedere la disabilitazione degli account che diffondono materiale d’odio e di pornografia non-consensuale. Tutto questo solitamente avviene nel giro di 48 ore dal momento in cui veniamo contattati dalle vittime.

Grazie all'Associazione Permesso Negato per questo quadro completo ed esaustivo sul fenomeno della violenza online, da cui partire per acquisire più consapevolezza del problema. 

Federica Carla Crovella

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