La violenza ostetrica esiste: dati e indicazioni per riconoscerla


Oggi, 5 maggio, è la Giornata Internazionale delle Ostetriche e, per convenzione, uso questa data per far luce sul fenomeno della violenza ostetrica, che tavolta può non essere riconosciuta e denunciata immediatamente. Ne parliamo oggi, ma è da precisare che il termine
 si riferisce all’abuso che avviene genericamente nell’ambito delle cure ostetrico-ginecologiche e, di conseguenza, può avvenire per mano di operatori e operatrici che a vario titolo lavorano con donne in gravidanza. 

Si definisce violenza ostetrica:

“appropriazione del corpo e dei processi riproduttivi della donna da parte del personale sanitario, che si esprime in un trattamento disumano, nell’abuso di medicalizzazione e nella patologizzazione dei processi naturali avendo come conseguenza la perdita di autonomia e della capacità di decidere liberamente del proprio corpo e della propria sessualità, impattando negativamente sulla qualità della vita della donna”. Ley Orgánica sobre el Derecho de las Mujeres a una Vida Libre de Violencia” Venezuela - 2007 - Articolo 15(13). 

Ma quando nasce la consapevolezza di questo fenomeno? 

Nel 2016 viene lanciata sui social una campagna dal titolo "Basta tacere"che porta la consapevolezza sulla violenza ostetrica anche in Italia, grazie alle testimonianze di tante madri che hanno testimoniato gli abusi e i maltrattamenti subiti durante l’assistenza al parto. Un'occasione, questa, anche per dare la possibilità a queste donne di denunciare episodi di maltrattamenti e violenze  per proseguire nella raccolta di testimonianze di violenza ai danni delle partorienti durante le fasi del travaglio e del parto. A seguito di questa campagna, il 20 aprile 2016 nasce l' Osservatorio sulla Violenza Ostetrica in Italiache continua a lavorare per dare voce a questo fenomeno e rende disponibili approfondimenti e informazioni utili in merito. 

Attraverso le ricerche e la voce dell' Osservatorio approfondiamo il problema e in che modo si possa reagire. 

Come si può manifestare questa forma di abuso? 

Alcune modalità sono state individuate dall'OMS: 

  1. l’abuso fisico diretto,
  2. la profonda umiliazione e l’abuso verbale
  3. le procedure mediche coercitive o non acconsentite (inclusa la sterilizzazione)
  4. la mancanza di riservatezza
  5. la carenza di un consenso realmente informato
  6. il rifiuto di offrire un’ adeguata terapia per il dolore
  7. gravi violazioni della privacy
  8. il rifiuto di ricezione nelle strutture ospedaliere
  9. la trascuratezza nell’assistenza al parto con complicazioni altrimenti evitabili che mettono in pericolo la vita della donna
  10. la detenzione delle donne e dei loro bambini nelle strutture dopo la nascita connessa all’impossibilità di pagare
  11. adolescenti, donne non sposate, donne in condizioni socio-economiche sfavorevoli , donne appartenenti a minoranze etniche, o donne migranti e donne affette da l’HIV sono particolarmente esposte al rischio di subire trattamenti irrispettosi e abusi.

L'Osservatorio sulla Violenza Ostetrica risponde così

Chi può definirsi vittima di violenza ostetica? 

Si può considerare vittima di violenza ostetrica una donna che ha subito la perdita di autonomia in relazione alla propria sessualità e riproduzione da parte del personale medico incaricato di assisterla

Generalmente, in che modo può reagire chi si trova ad affrontare queste situazioni?

Nell'immediato la cosa migliore è valutare se ci siano le possibilità di un'azione legale, ma anche rivolgersi all'ospedale per valutare quali azioni si possano mettere in atto sulla base delle condizioni di salute della donne e del/della neonato/a. 

Un'ulteriore indicazione che arriva dall'Osservatorio è la traduzione in italiano della Carta dell'assistenza rispettosa della maternità, disponibile sul sito dell'Osservatorio.



Qualche dato sul fenomeno 

Al momento in Italia non esiste una raccolta ufficiale di dati sul fenomeno. 

Di recente, l'Osservatorio si è soffermato sulla violazione del diritto alla salute sessuale e riproduttiva e sull' assistenza alla maternità e nascita durante la pandemia di COVID-19. Il comunicato stampa è disponibile sul sito.

Torinando un po' indietro, un passo importante è stata l'indagine del 2017 “Le donne e il parto”,  realizzata  dall'Istituto Doxa per conto dell’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica in Italia, in collaborazione con le associazioni La Goccia Magica e CiaoLapo Onlus. La ricerca considera il periodo 2003 -  2017. 

Qualche numero? 

L'indagine è stata condotta su un campione rappresentativo di circa 5 milioni di donne italiane, tra i 18 e i 54 anni, con almeno un figlio di 0-14 anni. Al centro diversi aspetti e momenti vissuti dalle madri durante le fasi del travaglio e del parto: dal rapporto con gli operatori sanitari ai  trattamenti praticati, dall'interazione con il personale medico al consenso informato, il potere decisionale della partoriente e il rispetto della dignità personale.

Quali risultati sono emersi? 

Per 4 donne su 10 (41%) l’assistenza al parto è stata in parte lesiva della propria dignità e integrità psicofisica. Le rilevazioni evidenziano che "la principale esperienza negativa vissuta durante la fase del parto è stata la pratica dell’episiotomia, subita da oltre la metà (54%) delle mamme intervistate. Un tempo considerata un aiuto alla donna per agevolare l’espulsione del bambino, oggi, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), la definisce una pratica «dannosa, tranne in rari casi", scrive L'Osservatorio sulla Violenza Ostetrica in Italia. Inoltre, 3 partorienti su 10 negli ultimi 14 anni dichiarano di non aver dato il consenso informato per autorizzare questo tipo di intervento. Ancora, 1 donna su 3 si è sentita in qualche modo tagliata fuori dalle decisioni e scelte fondamentali che hanno riguardato il suo parto. 

Come è stata vissuta l'esperienza in ospedale? 

Stando sempre ai dati dell'indagine, il 27% delle madri ha riscontrato carenza di sostegno e di informazioni sull’avvio dell’allattamento e il 19% mancanza di riservatezza in varie fasi e momenti della permanenza nella struttura. Altri dati? Il 12% delle donne non ha avuto la possibilità di avere vicino una persona durante il travaglio; al 13% non è stata concessa un’adeguata terapia per il dolore. Un aspetto alquanto preoccupante è che circa 14.000 donne all’anno sostengono di aver avuto poca assistenza, con insorgenza di complicazioni ed esposizione a pericolo di vita. 

Quali conseguenze? 

Insomma, alla luce di questi numeri, non sorprende che "l’11% delle madri in Italia ammette di aver subito un trauma dovuto all’assistenza nell’ospedale e di conseguenza ha preferito rimandare di molti anni la scelta di vivere un’ulteriore gravidanza", riporta l'Osservatorio, e il 6% delle donne ha subito un trauma tanto forte da decidere di non avere altre gravidanze. 

I dati rilevati nell'inchiesta sono molti e in poche pagine non è possibile dar conto di tutti i risultati. Ulteriori approfondimenti sono disponibili sul sito alla voce dedicata, "Indagine Doxa-OVOItalia".

La speranza è che, passo dopo passo, sia attraverso la ricerca sia a mezzo stampa, questo fenomeno diventi visibile e sempre più nitido agli occhi delle donne stesse e della società. Solo così si potrà ragionare sempre di più e sempre meglio sulla prevenzione e sulle possibili soluzioni per fronteggiare il problema. Contribuire a creare consapevolezza è la prima finalità di questo articolo. 

Federica Carla Crovella 








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