La Gender Editor… questa sconosciuta. Quanto servirebbe all’Italia?
Nel 2018 Jessica Bennett è diventata la prima gender
editor del New York Times, o meglio, la prima gender editor in
assoluto. Il corrispettivo in italiano potrebbe essere, letteralmente,
“Responsabile sezione genere”, anche se sul New York Times non si occupa in
modo specifico ed esclusivo di pagine dedicate a temi femminili. L’obiettivo è,
invece, trasmettere a tutto il giornale una prospettiva di genere, cercando di
veicolare una rappresentazione dell’universo femminile costruttiva e libera da
stereotipi, sia nelle storie raccontate sia nei titoli.
Tre anni dopo, nell’ottobre del 2021 questa figura
è approdata in Francia, in particolare, nella redazione di Mediapart,
giornale online indipendente di investigazione e opinione.
A questo punto, sorge spontanea una domanda: a che punto è l’Italia sulle questioni di genere? Questa figura non esiste ancora nel nostro Paese, ma c’è da chiedersi se l’iniziativa dei colleghi inglesi e francesi non possa essere utile anche a noi.
Ne ho parlato con Silvia Brena, scrittrice e giornalista, con una lunga esperienza di direzione di testate femminili, che regala un punto di vista molto interessante sulla questione.
Che cosa pensa di questa iniziativa?
È un’iniziativa che nasce da un’evidenza: il livello
pervasivo di discriminazione non solo nel tessuto redazionale, ma soprattutto
nelle narrazioni dei media, sia a livello lessicale, che di costrutto
narrativo.
lo confermano i dati. Nel report sull'uguaglianza tra i
sessi nel giornalismo, The Missing Perspectives of Women in News, di Lubova
Kassova, scritto per la Bill & Melinda Gates Foundation del 2019 si
evidenzia come nelle redazioni la gender equality sia una chimera. Questo
è un problema. Scema l’attenzione ai punti di vista femminili.
Soprattutto nei Paesi emergenti, la parità non riceve
particolari attenzioni dagli opinion leader, anche se i giovani sono più pronti
a sostenere l'uguaglianza. Nei 77 Paesi in cui Lubova ha posto la questione,
solo il 14 % di chi detta l'agenda del Paese indicava la parità tra i sessi
come assoluta priorità. Il rapporto si concentra sulla realtà delle
redazioni di sei Paesi: Regno Unito, Stati Uniti, Sudafrica, Kenya, India e
Nigeria. È emerso il fatto che le donne s'interessano meno delle notizie degli
uomini (a livello globale sono il 64 per cento degli uomini che si dichiarano
«molto interessati alle news» contro il 54 per cento delle donne). Un dato che,
secondo l'autrice, potrebbe dipendere dal fatto che giornali e notiziari sono
prodotti principalmente da uomini e si concentrano soprattutto su figure
maschili, restando lontanissimi dalle richieste del pubblico femminile. Tuttavia,
i cambiamenti verificatesi nel mondo dell’informazione/ comunicazione
evidenziano un passaggio epocale. Il passaggio da un giornalismo fatto di pure
notizie/ cronaca a un giornalismo fatto di racconti, ha segnato l’avvento del
Fattore F: oggi si raccontano storie, quindi il punto di vista si deve
allargare e quindi l’occhio femminile, più allenato all’ascolto e alla
narrazione, diventa una risorsa.
Secondo lei, a che punto è il giornalismo italiano sul
linguaggio di genere? Potrebbe essere utile una figura come questa nelle nostre
redazioni?
Nessun tema è femminile o maschile, il punto di vista (e in
alcuni casi il pregiudizio) con cui lo si racconta sì. E l’F FACTOR
diventa la lente di ingrandimento attraverso cui interpretare e poi raccontare
la realtà. Ciò detto, molto c’è ancora da fare, per esempio sul linguaggio
(imparare a rispettare il linguaggio di genere, con suffissi e desinenze
corrette), sulle modalità del racconto (ancora, in caso di violenze contro le
donne, le narrazioni sono purtroppo spesso improntate su stereotipi e
pregiudizi che vogliono la donna attizzatrice dello sguardo
predatorio degli uomini). Per questo, forse sì, una gender editor anche
nei mediai italiani non sarebbe una cattiva idea. A condizione che non diventi
una riserva indiana!
A questo punto, ho deciso di non fermarmi qui e sono andata oltre il giornalismo: a che punto sono le agenzie di comunicazione e le case editrici? Che cosa potrebbe fare la gender editor in questi contesti lavorativi?
Mi ha colpita l' Agenzia Comunicattive, che mira a valorizzare progetti
attenti anche alle donne, alle persone migranti, alle persone disabili e alle
persone LGBTQ+, nella convinzione che «sensibilizzare sul rispetto delle loro
vite vuol dire rendere il mondo un luogo più vivibile per chiunque». Comunicattive | Agenzia di Marketing e Comunicazione
Che cosa pensate di questa iniziativa?
Una figura specializzata in tematiche e linguaggio di genere potrebbe dare un apporto positivo in Italia? In che modo?
Secondo noi la funzione principale della gender editor dovrebbe essere la diffusione di una maggiore consapevolezza trasversale nell'organizzazione di cui fa parte, che sia una redazione giornalistica, una casa editrice o un'agenzia di comunicazione. La formazione è una pratica politica che tante realtà fanno da parecchi anni (ad esempio la rete GiULiA sul versante giornalistico), ma le professioniste e i professionisti spesso oppongono resistenza: ricordiamo la proposta di linee guida lanciata dal MIT (Movimento Identità Trans) anni fa per sensibilizzare le redazioni sulle narrazioni giornalistiche relative alle persone trans (indicazioni base, come non usare il deadname, impiegare i pronomi corretti, rifiutare l'immaginario della perversione), a cui in molte/i reagirono con fastidio. La gender editor, oltre a presidiare la produzione dei contenuti, potrebbe secondo noi avere l'autorevolezza per creare connessioni tra i gruppi professionali e le realtà politiche che portano stimoli di riflessioni e indicazioni pratiche sui vari aspetti del grande spettro del "gender" (ma non solo: in tempi di intersezionalità, la discriminazione di genere è disgiungibile dall'abilismo o dal razzismo?). E soprattutto dovrebbe avere un potere reale nelle redazioni. Altrimenti il rischio è di fare un po' di "washing" senza intaccare davvero il problema.
Favorendo un cambiamento in tutte le professionalità interne e in dialogo con l'agenzia. Ad esempio in un'agenzia il ruolo dell'art director è fondamentale, ma hanno molta importanza anche copy, graphic designer e di chi realizza photo e video shoot. La gender editor dovrebbe interagire con tutte queste figure e formarle. Inoltre tutti i progetti di un'agenzia secondo noi dovrebbero porsi in un'ottica di genere, anche quelli che apparentemente nulla hanno a che fare in maniera diretta con la questione. Se un'agenzia produce una campagna senza stereotipi per una committenza che lo richiede, ma asseconda per altri progetti clienti che invece credono ancora che la sessualizzazione femminile sia la strategia vincente in pubblicità, c'è evidentemente qualcosa che non va. La gender editor dovrebbe essere coinvolta in tutti i progetti, quindi, a seconda della grandezza dell'agenzia, ne servirebbero diverse. E idealmente l'obiettivo dovrebbe essere che tutte le figure che ruotano dentro e attorno l'agenzia sviluppassero progressivamente una competenza da gender editor.
La nostra agenzia, Comunicattive, nasce da subito con la vocazione alla comunicazione di genere (tant'è che il nostro payoff è "Comunicazione di un certo genere"), e da quasi 20 anni portiamo il nostro attivismo femminista nel nostro lavoro. Lo facciamo in vari modi: a volte senza dirlo, con clienti che non ci scelgono per la nostra vocazione di genere, ma con cui riusciamo a far passare le nostre scelte. Altre volte, invece, la nostra competenza di genere è proprio il motivo per cui veniamo scelte, e non riguarda solo il linguaggio verbale, ma molti altri aspetti, tra cui come dicevamo prima l'ideazione delle immagini, o la conoscenza del contesto associativo e politico nazionale. Una pratica che portiamo avanti in agenzia è quella dell'autoformazione interna, che ci permette di gestire progetti anche molto complessi facendoci garanti della coerenza del progetto in ogni minimo dettaglio. E nella relazione con le/i clienti, le formule possono andare dalla cura del progetto complessivo alla consulenza, passando per la formazione, che spesso, e sempre con piacere, ci viene chiesto di fare nei contesti più diversi, dalle pubbliche amministrazioni alle organizzazioni del privato sociale.
Per l’editoria ho ascoltato Blitos Edizioni, che si occupa anche di promozione sociale e per il triennio 2021 - 2024 tratterà il tema della parità di genere attraverso tre progetti che vanno sotto l’iniziativa “DI PARI PASSO”.
«Lo faremo a modo nostro, scrivono, utilizzando la scrittura, perché crediamo che parola dopo parola sia possibile cambiare il mondo!».
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Per saperne di più DI PARI PASSO | Blitos Edizioni |
Che cosa pensate di questa iniziativa?
Pensiamo che grazie
a iniziative come questa stia crescendo sempre di più la consapevolezza che la
disparità di genere sia una forma di discriminazione di una parte della
società. Le istituzioni private e pubbliche più attente alle dinamiche sociali
sono anche le prime a intraprendere iniziative che nel lungo periodo possano
contribuire a colmare il gender gap.
Una figura specializzata in tematiche e linguaggio di genere potrebbe dare un apporto positivo In Italia? In che modo?
Una figura
specializzata sul linguaggio di genere è essenziale ovunque e in Italia in modo
particolare. Il World Economic Forum (weforum.org) ha da poco pubblicato il Global Gender Gap Report 2021 in cui risulta che l’Italia è al 63^ posto
nel mondo in termini di parità di genere. Per modificare il pensiero sociale, è
necessario modificare il linguaggio. Gli specialisti di neuroscienze ci
spiegano come i pensieri siano influenzati dalle etichette linguistiche che
vengono utilizzate. Per esempio, se diciamo che qualcosa è difficile da
realizzare il nostro cervello si metterà in modalità “fallimento” se diciamo
che qualcosa è impegnativo da realizzare il nostro cervello si metterà in
modalità “impegno”. Ora provate a migrare il concetto sul linguaggio utilizzato
nel descrivere il genere maschile e femminile e capirete perché è fondamentale
iniziare dalle basi, cioè da cosa diciamo e come lo diciamo. Modificando le
etichette linguistiche poco alla volta il nostro cervello inizierà a produrre
pensieri differenti fino a cambiare il pensiero sociale.
In che modo,
secondo voi, potrebbe essere utile anche in contesti diversi dal giornalismo;
ad esempio nell’editoria e nella comunicazione? Voi come vi state muovendo in
questo senso?
Come casa
editrice il nostro mestiere è quello di pubblicare delle storie. Una delle
caratteristiche principali di un buon romanzo è creare empatia e coinvolgimento
tra la storia narrata e il lettore. Raccontando storie di discriminazione, noi
offriamo al lettore il punto di vista di un personaggio che ha subito o ha
perpetrato un atto di discriminazione di genere, il lettore si sentirà
coinvolto e solidale con il protagonista interiorizzando gli stati d’animo che
la discriminazione ha prodotto. Sensibilizzare le persone su un problema esistente
è il primo passo. E non lo facciamo perché siamo femministe, esistono proprio
dei preconcetti su quello che un uomo o una donna possano fare o non fare. Oggi
si parla maggiormente delle donne, che sicuramente sono molto discriminati per
il loro genere ancor prima di poter dimostrare le loro capacità, ma anche per
gli uomini ci sono forme subdole di discriminazione che andrebbero
sradicate.
Ringrazio di
cuore Silvia Brena, L’Agenzia Comunicattive e Blitos Edizioni per gli spunti di
riflessione, nella speranza che il loro prezioso contributo sia d’ispirazione
per altre realtà e possa diventare oggi un “seme” e domani una “rigogliosa
pianta”.
Federica Carla
Crovella
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