Il congedo di paternità dal punto di vista delle donne


Spesso sembra scontato che quando si diventa genitori sia la mamma a prendere i 5 mesi di congedo che le spettano. 
E quello di paternità? In Italia è arrivato solo nel 2012 e consisteva in un giorno di assenza dal lavoro; poi da 1 sono diventati 7 e dal gennaio 2021 sono 10. Stop. Siamo fermi. 

Grande traguardo? Proprio no. Il motivo che si nasconde dietro questo stato di cose con molta probabilità si rifà a stereotipi culturali atavici, riconducibili, vigliaccamente, alla biologia: non è la donna che deve allattare? Ma l’accudimento di un/una neonato/a non si limita all’allattamento. 
Poi, se si scava più a fondo c'è altro: generalmente gli stipendi più bassi in una famiglia sono proprio quelli delle donne: ecco che, allora, se proprio si deve lasciare a casa qualcuno, di certo non può essere l'uomo. 

Congedo di paternità: una questione attuale 

Che cosa saranno mai 10 giorni a fronte dei 5 mesi delle donne? Non bastano. Infatti, come riporta Repubblica, i senatori Tommaso Nannicini e Valeria Fedeli hanno avanzato una proposta che si sta discutendo in Parlamento.

Che cosa prevede?

  • 5 mesi di congedo anche per gli uomini, al pari di quelli previsti per le donne, ai fin di una reale genitorialità condivisa, sin dai primi giorni di vita del/della bambino/a. 
  • Aumento del congedo parentale a 12 mesi, 6 mesi per le donne e altri 6 per gli uomini, con retribuzione per entrambi i genitori al 100%. Oggi in Italia arriva a 10 mesi per la famiglia (11 se il padre lavoratore si astiene dal lavoro per un periodo continuativo o frazionato di almeno tre mesi). Inoltre, dev’essere fruito nei primi 12 anni di vita e prevede, per le donne, un'indennità pari all’80 % della retribuzione. C'è anche una postilla, difficile da interpretare come un vero passo verso la parità: gli uomini possono avere un ulteriore giorno di “congedo facoltativo”, qualora la madre non voglia usufruirne e decida di trasferirlo al padre.
  • Indennità per entrambi i genitori per part time e lavoro agile, se condiviso da entrambi i genitori.
  •  Incentivi alle imprese e servizi territoriali

Tutto questo, secondo i senatori, potrà avere un costo di 4 miliardi di euro in totale. Tuttavia, non è l’unica menzione avanzata in Parlamento di recente. Anche la deputata PD Giuditta Pini guarda in questa direzione e ha proposto di estendere il congedo di paternità da 10 giorni a 3-4 mesi.

Come può aiutare le donne dentro e fuori casa? 

Immediatamente dopo il parto, e poi nei mesi a seguire, il sostegno di un compagno fa la differenza sotto tanti punti di vista, sia nella gestione quotidiana del/della bambino/a sia sul piano emotivo. I genitori condividono fin da subito le stesse difficoltà e le stesse gioie, entrando in empatia e concreta collaborazione. 

Non è da sottovalutare il supporto emotivo di cui una donna ha bisogno nel periodo immediatamente successivo al parto; un fisiologico squilibrio ormonale spesso la porta ad essere fisicamente debilitata e, talvolta, non del tutto padrona delle proprie emozioni.

E sul lavoro? 

Assentarsi a lungo dal posto di lavoro può ostacolare non poco il percorso di carriera di una donna, in termini di guadagno, aggiornamento, formazione e, talvolta, portare ad atteggiamenti discriminatori all’interno del contesto professionale. Se gli uomini venissero messi nella stessa condizione, questo rischio smetterebbe di essere un’esclusiva delle donne, che potrebbero portare avanti con più serenità il loro percorso professionale. Quindi, il congedo di paternità potrebbe ridurre sensibilmente l'impatto negativo di una gravidanza e di un congedo sui progressi di carriera di una donna e contribuirebbe anche a ridurre il divario salariale di genere. Sapere di non essere sole, discriminate e penalizzate aiuterebbe le donne a scegliere la maternità con un approccio più sereno, magari anche per la seconda volta. Infatti, i dati parlano chiaro e dicono che una donna su tre dopo il primo figlio si vede costretta a lasciare il lavoro. Perché continuare a permetterlo? 

Oggi, poi, è particolarmente difficile scegliere di diventare madre, perché le difficoltà a cui far fronte sono tante, economiche e non, a volte troppe, e spesso si deve posticipare aspettando tempi migliori o addirittura rinunciare. 



Inoltre, la possibile maternità spesso è il motivo per cui si tende ad avere remore se si deve scegliere di assumere una donna: quante candidate in sede di colloquio si sentono chiedere «Lei è fidanzata/coniugata/ha figli?». In molti casi, tra le righe si potrebbe leggere questo: «può dedicarsi in tutto e per tutto al lavoro senza impiegare tempo ed energie a fare la madre?». Poi c’è chi prova a carpire informazioni con un vago «come si vede tra 10 anni?». Spesso si opta per una domanda generica e allusiva, ma la sostanza non cambia, così come l’illegalità di queste ingerenze. Se anche gli uomini dovessero richiedere il congedo di paternità, allora, diventerebbe un aspetto di cui le aziende dovrebbero tenere conto a prescindere dal genere, quindi, non più discriminatorio nei confronti delle donne. 

Allora, un passo di questo genere non renderebbe egualitario solo il trattamento dei lavoratori e delle lavoratrici che già hanno un'occupazione, ma renderebbe davvero paritario anche l’accesso al lavoro, forse per la prima volta. 

 Federica Carla Crovella

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